POZZALLO – Mi è capitato tra le mani il libro di Alexander Tzonis su Le Corbusier, l’illustre architetto e urbanista francese. Le prime pagine che ne raccontano le origini anagrafiche, raccontano del carattere e dell’identità di La Chaux de Fondis, paesino della Linguadoca, e dei suoi concittadini, i catari. Erano fini orologiai e furono interpreti di un’idea estetica che fondeva la classicità delle linee e dell’arte con l’impulso nuovo che arrivava dalla meccanica che andava affermandosi di pari passo con il positivismo industriale.
Per Le Corbusier, che fu per tutta la vita coerente alle sue origini anagrafiche e identitarie, reinterpretate nel segno dell’innovazione e di un’indomita dialettica, il “vedere” è un atto cognitivo che presuppone un momento di riflessione e comprensione non solo del come delle cose ma del loro perché.
Mi sono quindi ricordato di quello che accadeva a Pozzallo, comune rivierasco e periferico della Sicilia Sud Orientale, quando l’orologio che sta lì sulla vetta del palazzo del Municipio smetteva di battere il tempo. Veniva contattato Joe, l’orologiaio che aveva il suo piccolo laboratorio proprio a pochi metri dal Municipio, sulla salita della Matrice.
Joe era uno di quei personaggi senza tempo, di quelli per cui non si riesce a immaginarne una giovinezza, né una vecchiaia. Ed era l’unico che sapeva “vedere” quell’orologio, nel senso di Le Corbusier. Era l’unico in grado di ripararlo intervenendo sul complesso groviglio di ingranaggi che stavano nell’angusto locale, lì alle spalle delle ore e delle lancette esposte alla vista di tutti.
Una mattina sulla porta del laboratorio di Joe, l’orologiaio, apparve un piccolo bigliettino con su scritto: “Torno subito”. Joe era partito per l’America.