Il suo nome era nella “lista nera” di Cosa nostra, compilata all’indomani della conferma in Cassazione della sentenza del maxiprocesso di Palermo. Ora Calogero Mannino è indagato dalla procura di Palermo nell’ambito dell’inchiesta sulla trattativa tra mafia e Stato per “attentato a corpo politico dello Stato”. L’ex ministro democristiano avrebbe avuto un ruolo di pressione nella revoca di centinaia di 41 bis nei confronti di boss mafiosi avvenuta nell’arco del 1993.
Mannino era nel mirino dei boss. Note della polizia e dei servizi segreti lo indicavano, insieme a Giulio Andreotti, Carlo Vizzini e Salvo Andò, come gli obiettivi di Cosa nostra dopo che Salvo Lima era stato fatto fuori. Lo stesso Mannino lo avrebbe confidato al suo collega di partito, Ciriaco a De Mita, a cui avrebbe testualmente rivelato: “Il prossimo sono io”. Un’eventualità non tanto lontana dalla realtà nella misura in cui il pentito Giovanni Brusca ha raccontato ai magistrati palermitani come dopo la strage di Capaci fosse tutto pronto per la sua esecuzione. “Per Mannino avevo già avviato gli appostamenti, poi a metà luglio è stato tutto bloccato” ha detto il pentito raccontando l’accelerazione dell’attentato a Paolo Borsellino a causa della sua opposizione alla “trattativa”.
Calogero Mannino è già stato processato per concorso esterno all’associazione mafiosa. Dopo un calvario giudiziario durato dieci anni, però, l’ex esponente della “sinistra Dc”, è stato assolto. Ora la nuova inchiesta che punta proprio su quella specifica corrente della Democrazia cristiana indicandola come interlocutore politico della mafia. Per questo è stato sentito più volte Nicola Mancino, capo-corrente e diventato ministro dell’Interno al posto del “duro” Vincenzo Scotti proprio agli inizi di luglio 1992. E l’accusa, velata, arriva ancora dalle parole di Brusca che racconta come, dopo l’elezione di Berlusconi, fosse stato inviato Vittorio Mangano da Marcello Dell’Utri per spingere il governo ad adottare atti normativi a favore di Cosa nostra. “‘Guardi – sarebbe stato il messaggio affidato a Mangano – le bombe e tutto quello che è successo al Nord la sinistra lo sa’. Cioè la sinistra mi riferisco -specifica il pentito – in quel momento al governo che governava il paese e mi riferivo, come già ho fatto il nome, all’onorevole Mancino che era il contatto che… il contatto terminale che Salvatore Riina mi aveva… mi aveva detto”. Mannino, vistosi in pericolo di vita, secondo le indagini, avrebbe così ceduto alle pressioni a suon di bombe messe in atto da Cosa nostra.
Così lunedì prossimo, Lillo Mannino dovrà presentarsi di fronte ai pm titolari dell’inchiesta – l’aggiunto Antonio Ingroia e i sostituti Nino Di Matto, Paolo Guido e Lia Sava – in compagnia di un avvocato. In quella sede potrà spiegare la sua posizione anche se, a caldo, ha già fatto sapere di trovare l’accusa priva di ogni fondamento, “è una cosa che mi fa ridere” ha detto. Domani, invece, è il turno proprio di Nicola Mancino, chiamato a testimoniare al processo contro l’ex generale del Ros dei carabinieri Mario Mori.
La reazione.
“”Leggo su un giornale web (viva il segreto investigativo) la notizia dell’avviso di garanzia che mi era stato notificato ieri dalla Dia per conto della Procura della Repubblica di Palermo. Se dopo 17 anni di processi dai quali sono uscito totalmente assolto debba sopportare la reitera di un pregiudizio assurdo ed infondato, com’é stato dimostrato per le accuse che mi hanno provocato anche la detenzione per due anni, mi lascia ancora qualche forza è gridare la mia indignazione”. Lo dice l’onorevole Calogero Mannino indagato nell’ambito dell’inchiesta sulla trattativa tra mafia e Stato. “Fantasticare – aggiunge – su qualche partecipazione al contesto della cosiddetta trattativa significa alterare i fatti, la loro rappresentazione anche dopo venti anni e tentare di fare di me il capro espiatorio di rappresentazioni da disinformazione, probabilmente quelle che hanno reso impossibile accertare la verità di quegli anni tragici”. “Avrei ‘esercitato pressioni su appartenenti alle istituzioni affinchè non fosse adottato, o non fossero prorogati provvedimenti di cui all’art.41 bis’. Se non fosse il testo dell’invito a comparire lo considererei o uno scherzo o un delirio – conclude – Ma vengo sottoposto ancora una volta ‘al martirio della pazienza’ La mia difesa ancora una volta sarà secca ed intransigente. Respingo nel modo più totale ogni sospetto ed anche impressione d’accusa”.