PALERMO- Il dolore è maturato, è lungo un anno. Il suo raccolto è visibile. Rughe e labbra serrate come erbe cattive, dove fiorivano sorrisi. Enzo Fragalà è morto, assassinato come una bestia da una bestia. Aggredito la sera del 23 febbraio. E’ trascorso un anno in compagnia del silenzio, al netto dei primi dieci giorni di eccitazione. Una coperta di nebbia ha avvolto il caso. Nulla di nuovo sul fronte delle indagini. Nulla di nuovo nella trincea della città. Solo i fiori sul luogo del delitto sono stati cambiati periodicamente e innaffiati da mani amorevoli. Immutabile è invece l’afonia di Palermo.
Trecentosessantacinque giorni impastati di omertà e vigliaccheria. Le testimonianze rade e quasi estratte a forza dalla pancia di chi ha visto un particolare e non avrebbe voluto vedere. Il mutismo di una comunità che ha accettato l’ennesimo sfregio senza ribellarsi, senza inarcare il sopracciglio. Hanno ucciso un uomo a bastonate, nel cuore più sorvegliato delle strade. Palermo invisibile ai suoi stessi occhi ha voltato le spalle. Ma quello che è superfluo per molti, è necessario per pochi, per i migliori, per i più vicini. Per coloro che non si rassegnano. Silvana (nella foto) e Marzia Fragalà, moglie e figlia di Enzo, aspettano giustizia. Il lutto sui loro lineamenti ha seminato le ferite dello stesso mandante. Livesicilia le ha incontrate nello studio legale che adesso la figlia regge, in assenza del padre.
Signora Silvana, perché tanto silenzio, perché non stiamo reclamando a gran voce la verità sulla fine di suo marito?
“Forse ci aspettavamo tutti risposte più immediate. Invece siamo praticamente al punto di partenza e c’è scoraggiamento. I carabinieri sono in contatto con noi, ci informano puntualmente, fanno il loro lavoro. Siamo stati sfortunati”.
La sfortuna di chi vive qui e va a sbattere contro il muro della reticenza?
“E’ la mentalità diffusa della gente. Enzo la conosceva benissimo, ne parlava, la combatteva. Ci aspettavamo più sostegno e non questa solitudine. Tanti hanno preso da Enzo qualcosa. Tanti sono stati beneficiati da quello che lui ha fatto per loro. L’elenco è infinito. Lasciamo perdere…”.
Ha ancora fiducia? Pensa che il colpevole sarà assicurato alla giustizia?
“Sì, altrimenti mi sparerei. Devo credere”.
Ha, sommariamente, un’idea, signora?
“Potrebbe essere stato chiunque, dalla mafia ai servizi deviati. Non so. Enzo era una persona curiosa e integerrima”.
Perché hanno colpito suo marito proprio a due passi dal Palazzo di giustizia?
“Ce lo siamo chiesti. Sarebbe stato più facile aggredirlo a Mondello, la sera, quando rientrava a casa. A quell’ora in giro non c’è anima viva. Evidentemente è stato dato un segnale”.
A chi?
“Non lo so. Ma è stato dato”.
Enzo Fragalà amato e stimato, eppure con un rapporto non sempre facile con la politica. A un certo punto – si dice – fu scaricato.
“Lo sappiamo com’è la politica, no? Lui aveva la passione per il suo lavoro. Ed era un mite. Io gli facevo notare gli sgarbi. Gli pestavano i piedi talvolta per semplice invidia Enzo non se ne dava peso. Perdonava. Quanti hanno avuto da lui…”.
Tanti.
“Anche i giornalisti. Li aiutava a scrivere i libri, senza pretendere niente. Aveva una parola e un sorriso per chiunque”.
Durante la chiacchierata, Marzia Fragalà ha ascoltato la madre, accompagnandola con lo sguardo, con qualche sussurrata sottolineatura. Interviene: “C’è omertà. Questa è una città tremenda. I testimoni di quella sera maledetta i carabinieri li hanno rintracciati uno per uno. Nessuno si è presentato spontaneamente. Anche tra gli avvocati c’è rassegnazione. Dopo i primi giorni di sdegno ha vinto la sfiducia. I miei colleghi magari non me lo gridano in faccia, però lo pensano: non si saprà mai chi è il colpevole. Mai”. Un momento di silenzio, una fessura aperta sulla radice del dolore, dove fa più male. La voce di Silvana: “Noi non possiamo rassegnarci. Vogliamo la verità”.