di Franco Adriano (tratto da MF del 26 maggio 2009)
Il primo a utilizzare il termine “bancomat” per il Fas (Fondo per le aree sottosviluppate) è stato lui. Il sottosegretario alla presidenza del consiglio Gianfranco Micciché a MF/MilanoFinanza che gli chiedeva: «Come mai in questa legislatura aveva adottato una strategia di così basso profilo? Mai una dichiarazione, una presa di posizione, un lancio di agenzia sulla politica nazionale…», rispondeva di non voler (per allora) fare polemiche, ma la trasformazione del Fas in «una specie di bancomat a disposizione del governo per coprire leggi di ogni tipo, non sarebbe stata priva di conseguenze politiche per gli esponenti politici del Sud». Sono passati alcuni mesi. E da allora la situazione non è che peggiorata. Tanto che oggi la crisi del governo siciliano sembra porre proprio le sue radici in questo problema. Ciò mentre al Nord, il vice-ministro allo Sviluppo economico, Roberto Castelli, ha vantato che «per la prima volta è il Sud a sostenere il resto d’Italia». La radiografia di quanto sta avvenendo è contenuta nella Tavola n.°1 dell’ultima delibera del Cipe (Comitato interministeriale per l’economia) di rimodulazione del Fas. Non si sa ancora con precisione quanti soldi verranno prelevati per la ricostruzione del dopo-terremoto in Abruzzo. Il testo è in via di approvazione alla Camera. Ma per il resto, le riduzioni operate sul Fas e sul Fondo Infrastrutture dal governo di Silvio Berlusconi formano una montagna di 16,6 miliardi. Quasi 8 miliardi sono serviti per coprire la manovra estiva (Decreto legge 25 giugno 2008, n. 112), mentre per l’esenzione dall’Ici per la prima casa, il bancomat del Fas ha fornito altri 1,15 miliardi che sarebbero in gran parte serviti per la viabilità di Sicilia e Calabria. Un altro miliardo circa se n’è andato per la riqualificazione energetica. Per tentare di risolvere i problemi di bilancio delle città di Roma e Catania dal Fas sono stati prelevati 640 milioni di euro, per quelli sanitari delle Regioni più in difficoltà 1,3 miliardi. Di emergenza in emergenza si capisce come il conto sia lievitato alle stelle: 2,4 miliardi (dal Fondo Infrastrutture) sono serviti per rispondere al grido di allarme del presidente di Ferrovie dello stato, Mauro Moretti, Nello stesso tempo 390 milioni sono saliti sui traghetti della Tirrenia in vista di una privatizzazione imminente. E, poi, ancora 45 milioni per le agevolazioni fiscali di Marche e Umbria in seguito al terremoto. Mentre sono quasi 700 i milioni del Fas impiegati per affrontare l’emergenza dei rifiuti in Campania.
Accanto a queste risorse ormai stanziate, un capitolo a parte lo merita il Fondo per l’economia reale da 9 miliardi, costituito a inizio marzo dal Cipe nonostante il mal di pancia dei cinque ministri interessati, a cominciare dal titolare allo Sviluppo economico, Claudio Scajola. Sì, perché non si tratta di risorse fresche, ma di una parte del Fas già destinata ai ministeri sull’onda dell’entusiasmo per il tesoretto che il governo di Romano Prodi sosteneva di aver trovato. Giunta la crisi finanziaria, il governo ha posto queste risorse in una sorta di limbo. Sono 2 miliardi già destinati al recupero dei siti inquinati, 1,8 miliardi per i contratti di sviluppo delle aree del Mezzogiorno, 800 milioni per la banda larga, 700 milioni per le fonti rinnovabili, 100 milioni per le zone franche urbane (ma del pacchetto facevano anche parte i 400 milioni per la realizzazione del G8 e i soldi per il termovalorizzatore di Acerra). Anche da qui, in assenza di tagli alla spesa e/o nuove tasse, il governo continuerà ad attingere finché potrà. (riproduzione riservata)