La tragedia della neonata morta in ambulanza – alla fine di un lungo calvario alla ricerca del posto in ospedale, dopo il parto in clinica – traccia un diagramma perfetto per descrivere che cosa sia la Sanità materiale da queste parti. Uno sfondo, perché le responsabilità specifiche saranno soppesate da chi di dovere e dunque non si può entrare, ancora, nel merito. Ma per la morale della storia non ce n’è nemmeno bisogno, non c’è bisogno di altro per raccontare la facilissima arte di morire in Sicilia.
I BUCHI NERI DELLA TRAGEDIA- I buchi neri della morte della piccola Nicole appaiono giganteschi. Se è vero – come sostiene l’assessorato alla Salute – che i posti di rianimazione neonatale sono di più di quelli previsti dagli standard ministeriali, come è possibile che una neonata in crisi respiratoria non abbia trovato subito la necessaria accoglienza? Perché scarseggiano le ambulanze attrezzate, visto che il decreto di riorganizzazione dei punti nascita, da tre anni, prevede una fornita rete in ogni provincia, con mezzi per il trasporto di pazienti gravi? Perché solo a Palermo e Messina il servizio è attivo? Perché non ci si è rivolti proprio alla più vicina Messina, dove – a quanto pare – c’era la disponibilità? La cronaca di quelle ore è un cocktail di dolore e approssimazione.
Scrive Antonio Condorelli, nella sua ricostruzione su LiveSicilia: “Nicole è nata in una clinica privata, la ‘Gibiino’ di Catania, gettonatissima, ma, a quanto pare, non attrezzata per fronteggiare un’emergenza come quella sorta durante il parto. I vertici della clinica hanno comunicato che ‘al momento della nascita la piccola presentava condizioni di salute critiche che richiedevano la rianimazione neonatale immediata e il trasferimento in un’unità di terapia intensiva neonatale, una volta stabilizzati i parametri’. E’ questo uno dei passaggi chiave: la stabilizzazione dei parametri della bambina, ovvero ‘tutte le procedure necessarie a supportare le funzioni vitali di base’, spiega la clinica Gibiino in vista del trasferimento verso Ragusa. Questa stabilizzazione sarebbe avvenuta, secondo la clinica, prima di accendere il motore dell’ambulanza. Diversamente, bisognerebbe pensare all’ambulanza che corre tra un ospedale e l’altro con a bordo una neonata in gravi condizioni, mentre, attaccati al telefono, 118 e casa di cura cercano posto”.
LA DANZA TRA PUBBLICO E PRIVATO– Altro buco nero: il rapporto tra sanità pubblica e privata. A prescindere dalle responsabilità del caso, anche qui lo sfondo si delinea chiarissimo. Nelle cliniche non esistono strutture adatte per gestire l’emergenza. Si può partorire in un ambiente confortevole, con la vicinanza dei familiari e non nelle corsie ‘sgarrupate’ dell’ospedalità pubblica, che sono tali per mancanza di risorse, non per cattiva volontà del personale. Ma se capita l’allarme, la situazione diventa ingestibile e si deve ricorrere al caro, vecchio pronto soccorso.
Racconta Felice Cavallaro nel suo articolo sul ‘Corriere della Sera’: “E’ morta così la piccola Nicole, quando mancavano solo dieci minuti alle porte di Ragusa, mentre il medico a bordo tentava tutte le manovre possibili per tenerla in vita. Come avevano cominciato a fare, affannati, in sala parto quando cercavano le cannule da infilare in gola alla piccola per aspirarle il liquido amniotico e non le trovavano ‘perché non ce n’erano’, stando al racconto del padre della bimba”. E’ andata davvero così? Anche questo verrà verificato. Intanto, l’immagine suggerita offre già un titolo, una suggestione per descrivere quelle stanze che si raccontano dotate di ogni accessorio, ma prive del necessario: ‘Grand Hotel senza cannule’.
Una circostanza, comunque, negata con un comunicato ufficiale: “La casa di cura – si legge in una nota della Gibiino – respinge fermamente ogni illazione e congettura che in queste ore viene diffusa nei confronti del proprio operato. La struttura opera da oltre mezzo secolo ed è accreditata con il Servizio sanitario e pertanto sottoposta a continui e ristretti controlli da parte delle autorità sanitarie competenti. La struttura è in possesso delle cannule e dei sondini per aspirazione neonatale, e immediatamente dopo la nascita tutte le pratiche di aspirazione sono state eseguite correttamente sulla piccola Nicole che poi è stata intubata e trasferita all’ospedale Maria Paternò Arezzo di Ragusa. Come certamente emergerà dagli esami autoptici, il decesso della piccola è stato causato da altri fattori che esulano dall’attività posta in essere dai medici della Struttura che hanno fatto di tutto per salvare la vita della neonata”.
IL MALATO, QUESTO SCONOSCIUTO- Il massimo buco nero riguarda, tuttavia, la gestione politica e amministrativa della Salute in Sicilia. Il classico scaricabarile a un passo dal cadavere – che, come sempre, ha visto l’intervento del presidente Crocetta – risuona poco commendevole. Tutti parlano e si lanciano alla ricerca del colpevole, omettendo di affermare una scomoda verità.
La morte di Nicole è un evento consequenziale, nella cornice di un organismo che non funziona; è l’accadimento di rottura – da ricostruire, certo, nei suoi meccanismi giuridicamente e sostanzialmente rilevanti – in una quotidianità fatta di grandi e minimi drammi che emergono solo quando l’inciampo vira in tragedia. Chiunque abbia la sfortuna di ammalarsi, sa di cosa stiamo parlando. I servizi mancano, il ricorso al privato è necessario e rende la Sanità pubblica una chimera: chi ha i soldi si cura, gli altri aspettano. Molti medici coraggiosi e troppi pazienti rassegnati sono prigionieri di un mondo che – fra tagli e conti da quadrare – ha messo il malato in fondo alla sua scala di valori.
L’assessore Lucia Borsellino lo sa. E sa anche che non bastano i proclami del minuto dopo per rendere la situazione meno scandalosa. E sa, l’assessore alla Salute, che non basta nemmeno essere persone perbene, con un percorso di autentica e generosa sofferenza, con un cognome venerabile, per considerarsi immuni dalle critiche che questa tragedia impone.