I pm di Palermo che indagano sulla trattativa tra mafia e Stato, hanno interrogato oggi, nel carcere di Rebibbia, il pentito Giovanni Brusca. L’interrogatorio si inserisce nell’attività investigativa della Dda del capoluogo siciliano che sta cercando di accertare se, a partire dal ’92 alcuni esponenti istituzionali vennero a patto con cosa nostra. Giovanni Brusca, infatti, era quasi un teste obbligato dell’indagine in quanto è il primo collaboratore di giustizia ad avere parlato della trattativa e del cosiddetto Papello, l’elenco in cui Totò Riina scrisse le sue richieste allo Stato per fare cessare la strategia stragista.
E sempre Brusca indicò l’eliminazione del 41 bis tra i punti che più stavano a cuore al padrino di Corleone. L’ex boss di San Giuseppe Jato, nelle sue rivelazioni ha tirato in ballo pesantemente alcuni esponenti delle istituzioni. L’interrogatorio di Brusca è stato preceduto, nei giorni scorsi, da quelli dell’ex capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Nicolò Amato, e dell’ex ministro della Giustizia Giovanni Conso, in carica nel ’93. Entrambi sono stati sentiti su loro prese di posizione sul carcere duro: Amato fu autore di un documento in cui veniva sollecitato Conso, in qualità di ministro della Giustizia, a revocare il 41 bis; l’ex guardasigilli nel novembre del ’93 decise di sospendere il 41 bis a 140 capimafia. Provvedimenti che – hanno ribadito entrambi al magistrato – non avrebbero nulla a che fare con la trattativa ma sarebbero stati presi in autonomia da Conso e Amato.
”Berlusconi sapeva che con Mangano si stava mettendo in casa un mafioso”. Lo ha detto il pentito Francesco Di Carlo intervistato nel corso della trasmissione, in onda su Raidue ‘Annozero’. Il collaboratore di giustizia, che ha già testimoniato sull’argomento al processo al senatore del Pdl Marcello Dell’Utri, ha ricordato la storia dell’assunzione del cosiddetto stalliere di Arcore Vittorio Mangano sostenendo che il mafioso era stato contattato per assicurare la protezione di Cosa Nostra a Berlusconi, preoccupato di un possibile sequestro del figlio. Il pentito ha anche ricordato l’incontro, avvenuto, negli anni ’70, nella sede della EdilNord di Berlusconi, tra l’allora imprenditore milanese, che stava realizzando Milano 2, i boss Mimmo Teresi e Stefano Bontade, Marcello Dell’Utri e lo stesso Di Carlo. ”Io lo ammirai come imprenditore – ha aggiunto Di Carlo – ci diede una lezione da industriale. Bontade gli chiese perche’ non costruiva a Palermo e lui rispose che già aveva abbastanza preoccupazioni a Milano”. Secondo il pentito Berlusconi si riferiva al timore di un possibile rapimento del figlio. A quel punto per rassicurarlo Bontade gli avrebbe garantito la disponibilità di Cosa Nostra e a sua volta l’allora costruttore milanese avrebbe assicurato la sua.