Uccisa dall'alluvione a Favara, esposto in procura della famiglia

Uccisa dall’alluvione a Favara: “Marianna non doveva morire”

Chiesta l'apertura di un'inchiesta per omicidio colposo

FAVARA – Marianna Bello non doveva morire. Ne è convinto il marito Renato Salamone che ha presentato un esposto, anche per conto dei suoi tre figli minorenni. Chiede che venga avviata un’indagine nei confronti del responsabile della protezione civile regionale, del sindaco di Favara e dei dirigenti comunali che non avrebbero evitato la tragedia.

La donna trentottenne lo scorso 1 ottobre fu inghiottita dalle acque del nubifragio che si era abbattuto sull Favara. Il corpo fu ritrovato 19 giorni dopo vicino ad un torrente che sfocia nel fiume Naro ad Agrigento. Nell’esposto firmato dall’avvocato Salvatore Cusumano si chiede l’apertura di un’inchiesta per omicidio colposo.

Le indagini dovrebbero accertare se la tragedia sia stata determinata da “condotte omissive e colpose dell’ingegnere Salvatore Cocina nella qualità di dirigente generale del dipartimento regionale Protezione civile in merito all’errata emissione dell’allerta meteo” e “del sindaco di Favara Antonio Palumbo, dei dirigenti comunali dell’area Lavori pubblici, Urbanistica, Edilizia e Patrimonio per l’omessa custodia e manutenzione del convogliatore idraulico” che ha inghiottito la trentottenne.

Gli errori, secondo la famiglia

Secondo il legale, il primo errore fu la diramazione di un allerta gialla e non rossa per le condizioni meteo. L’evento atmosferico, si legge nell’esposto era “certamente prevedibile grazie alla tecnologia di cui oggi si è in possesso. Pertanto se la Protezione civile regionale avesse diramato l’allerta rossa ciò avrebbe comportato, come già accaduto in altre occasioni, la chiusura delle scuole da parte del primo cittadino”.

Marianna Bello “quel fatidico giorno non avrebbe lasciato i figli a scuola ma sarebbe rimasta con quest’ultimi nella propria abitazione”. Parallelamente l’esposto cita “gravi responsabilità in capo al primo cittadino e relativo ufficio tecnico connesse alla gestione e alla manutenzione di quel convogliatore idraulico (canalone) ubicato nell’area interessata dall’evento tragico segnatamente allocato nella piazza della Libertà comunemente denominata anche ‘Conzu'”.

Ed ancora: “Tale infrastruttura presentava e presenta tutt’oggi segni evidenti di degrado e di mancata manutenzione, mancate protezione per la salvaguardia dell’incolumità delle persone”.

“Non si può morire così”

In particolare si cita l’apertura di due delle cinque “bocche del convogliatore”. Una circostanza che “costituisce un elemento decisivo nell’innesco e nell’aggravamento degli effetti devastanti dell’evento. Diversamente se fossero state chiuse le bocche del convogliatore come lo sono tutt’oggi, bloccate dai loro chiavistelli, Marianna sarebbe ancora viva”.

“Non si può morire travolti dall’acqua nel cuore di una città, in una piazza che diventa un lago, in un sistema che troppo spesso si piega all’incuria ed all’indifferenza dell’amministrazione comunale. La morte di Marianna non era un evento non prevedibile e non è solo un fatto di cronaca ma è lo specchio che riflette le crepe di un territorio in questo caso quello favarese assai fragile, dimenticato, incapace di prevenire, di proteggere i suoi cittadini, di reagire per tempo”.

“Quella mattina del primo ottobre su cinque griglie di trattenimento erano chiuse solo 3 ed è proprio in una di quelle due aperte Marianna veniva ingoiata. Fa strano e sembra realmente una beffa recarsi oggi sui luoghi e trovare tutte e cinque le griglie chiuse ancorate alla struttura muraria dai relativi chiavistelli”.

“Se le griglie del convogliatore giorno 1 ottobre fossero state chiuse come lo sono tutt’oggi non saremmo qui con il presente esposto a dover chiedere giustizia per Marianna, per il marito e per i tre figli minori”.


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