Il pregiudicato di Villarosa, nell’Ennese, Maurizio Nicosia, è stato condannato a 16 anni di reclusione per il delitto dell’autotrasportatore di Cacchiamo Giuseppe Bruno, inghiottito dalla lupara bianca a maggio del 2004. La vittima, che avrebbe avuto uno scontro con Nicosia per la restituzione di un vecchio prestito, sarebbe stata ammazzata e il corpo dato in pasto ai maiali.
La sentenza
La sentenza è stata emessa dalla Corte d’appello di Catania, dopo un annullamento in Cassazione, il 14 gennaio scorso, della condanna all’ergastolo che era stata inizialmente inflitta a Nicosia dal gup. L’imputato è stato inizialmente accusato pure di associazione mafiosa, distruzione di cadavere e dell’aggravante di aver ucciso Bruno per motivi abietti e futili. La Suprema Corte aveva riconosciuto definitivamente la colpevolezza di Nicosia per l’omicidio ma escluso l’associazione mafiosa e l’aggravante, dichiarando prescritta la distruzione di cadavere e rinviando all’udienza di ieri per la rideterminazione della pena. In questo modo, in sostanza, l’orrendo delitto è stato giuridicamente equiparato a un delitto comune. Così la condanna è scesa a 16 anni, in accoglimento della tesi difensiva, sostenuta dall’avvocato Antonio Impellizzeri, che ha sempre difeso Nicosia. Il difensore non ha voluto rilasciare dichiarazioni.
Il risarcimento danni
Tecnicamente sarebbe possibile adesso un nuovo ricorso in Cassazione da parte della difesa, ma indiscrezioni porterebbero a ipotizzare che questa ipotesi al momento non sarebbe in cantiere. La condanna prevede pure il risarcimento dei danni e una provvisionale in favore della famiglia della vittima. L’inchiesta è stata condotta dalla squadra mobile di Enna e dai carabinieri del nucleo investigativo ennese, culminata a febbraio del 2017 nell’operazione “Fratelli di sangue”, coordinata dal pm, oggi procuratore facente funzioni di Caltanissetta, Roberto Condorelli. L’elemento cardine dell’accusa sono state le rivelazioni di un testimone, il cugino dell’imputato Santo Nicosia.