Sceneggiate e bugie | La vita spericolata di Saro - Live Sicilia

Sceneggiate e bugie | La vita spericolata di Saro

Il governatore in questi tre anni ha raccontato la favola di una Sanità liberata dalle amicizie e dalla politica. Oggi assicura: "Ho sempre difeso Lucia". E promette di "dimettersi tra un mese". Sono solo le ultime recite. Dalle intercettazioni e dai racconti dell'ex assessore, emerge un'altra verità: una storia tragica e miserabile.

PALERMO – Prende tempo, il presidente. Un mese, e poi andrà via. Dice. L’ultima sceneggiata, probabilmente. Rosario Crocetta affonda le unghie sulla poltrona più pregiata di Palazzo d’Orleans. E mentre al mattino si dice pronto “a pagare per colpe non sue”, la sera avvisa che “da vero combattente” non intende mollare. Non intende consentire quello che sia il presidente che i suoi più stretti sostenitori hanno definito un “golpe” (che poi altro non sarebbe che il ritorno al voto democratico).

Ma il coraggio del lottatore, qui, c’entra poco. Semmai, è proprio una questione di pavidità politica. La sua (la credibilità del governatore, oggi ai minimi storici, renderebbe persino complicato pensare al ‘dopo’), e quella che il presidente attribuisce ai novanta, o ad almeno 46 di loro, inquilini di Sala d’Ercole. Se lui non si dimette, è solo perché è certo che i parlamentari “non lo dimetteranno”. Istinto di conservazione. Di scranno e indennità, per la precisione. Un mese allora, e poi andrà via. Forse. Solo l’ultimo suggello di quasi tre anni di mistificazioni, ancor più insopportabili perché condite dalla salsa ormai acida dell’antimafia, dagli aromi di una moralità che si infrange, intercettazione dopo intercettazione, di fronte all’ennesima bugia.

Anche oggi, dalle pagine di Repubblica, Lucia Borsellino ha affondato: “Il presidente mi ha nascosto molte cose. Non è stato leale”. E basterebbe soltanto ripercorrere alcune di quelle telefonate per rendersi conto di quanto la frase dell’ex assessore sia, tutto sommato, misurata. E invece, Crocetta insiste, rilancia, si ostina: “Nessuno ha difeso Lucia come me”, oppure “Io conosco di Lucia cose che non conoscono nemmeno i suoi parenti”. Frasi irreali, demolite dal fermo rammarico dell’assessore. Ma anche e soprattutto da quelle intercettazioni. E non serve, tutto sommato, insistere sulla ‘frase fantasma’ rivelata dall’Espresso. Per la quale oggi, tramite i suoi legali, Crocetta ha fatto sapere di voler chiedere un risarcimento milionario da devolvere (in parte, per carità) in beneficenza. Al di là di quella frase, però, il resto dei riscontri raccolti dai pm è una collezione di telefonate, incontri, accordi, progetti che avevano, come denominatore comune, quello di fregare quella “buttana della Borsellino”.

E invece, i Borsellino hanno fatto sapere a Rosario Crocetta che la sua presenza alla commemorazione della strage di Via D’Amelio non sarebbe stata gradita. Una presa di posizione dalla portata enorme. Rivoluzionaria, questa sì. E che svela, ovviamente, la “bugia delle bugie”: cioè quella dell’antimafia del governatore. Che antimafia è, infatti, quella portata avanti da un presidente che non è ‘persona gradita’ per i familiari di una delle vittime di Cosa nostra? Del magistrato che, insieme a Giovanni Falcone, ha finito per simboleggiare la lotta contro l’organizzazione criminale?

Ma anche in questo caso, il presidente ha deciso di raccontarcene un’altra. Ha fatto capire di essersi ritirato a Tusa “per riflettere”. Lontano dai riflettori, certo. Ma fino a un certo punto. Visto che ha deciso di raccontare la “sua” verità alle telecamere del Corriere della Sera. Proprio il 19 luglio. Scatenando la reazione sdegnata anche di qualche alleato: “Nel giorno di Paolo Borsellino – ha detto ad esempio Gianpiero D’Alia – Crocetta avrebbe fatto meglio a tacere”.

E in effetti, ogni parola ombreggia una bugia. Come quella con la quale Crocetta tende a racchiudere tutto attorno alla frase pubblicata dal settimanale e smentita dalla Procura. Un giochetto che ha evidentemente l’obiettivo di far passare sullo sfondo tutto il resto. Le intercettazioni, cioè, mai smentite da nessuno. E che delineano i contorni di un mondo tragico e miserabile di accordi sottobanco, di favoritismi, di un utilizzo della cosa pubblica per fini privati o addirittura privatissimi. E persino la scelta dei nomi da piazzare ai vertici delle aziende ospedaliere siciliane. No, non di questa o quell’azienda partecipata, ma degli ospedali e delle Asp. Dei gangli attraverso i quali, spesso, passa il destino di vita e di morte dei siciliani. Manager scelti, magari, attraverso un foglietto che “Matteo” avrebbe fatto recapitare a “Rosario”. Una mappa del tesoro Sanità, che doveva essere, finalmente, liberata grazie al tocco purificatore del governatore. Un’operazione della quale, scendendo dalle intenzioni alla pratica, si sarebbe incaricato proprio il primario Matteo Tutino, come emerge dalle inchieste in corso e dalle parole degli stessi procuratori della Repubblica: “Ottenuta la nomina a direttore dell’unità operativa complessa di Chirurgia plastica – ricostruiscono il procuratore aggiunto Leonardo Agueci e il sostituto Luca Battinieri – il dottore Tutino in tempi brevissimi, forte di una escalation inarrestabile diventa il vero reggente apicale giovandosi del radicale ascendente sul commissario Sampieri (Giacomo Sampieri, ex commissario di Villa Sofia, indagato nella stessa inchiesta) nonché soprattutto dei suoi rapporti particolarmente privilegiati con il presidente della Regione onorevole Rosario Crocetta, sbandierati coram populo al fine di affermare la sedicente investitura di purificatore della sanità siciliana della quale sarebbe attributario per volontà politica”.

E invece, stando alle parole di Lucia Borsellino, che ha sdegnatamente sbattuto la porta, la Sanità siciliana è rimasta un “coacervo di interessi”. Come in passato, insomma. Nonostante gli annunci moralizzatori, le sparate rivoluzionarie, quella “pulizia” affermata pubblicamente e negata nei retrobottega delle aziende sanitarie. La bugia, insomma, che sovrasta tutte le altre: quella di una Sanità finalmente libera dalle clientele e dagli amici. Libera della politica. E ridotta, invece, ormai è evidente a tutti, a un macchinario calibrato sulla base dei rapporti personali e dei potenziali bacini elettorali. La Sanità dei pizzini. Quelli riempiti con i nomi dei manager, scelti accuratamente nel ristrettissimo cerchio dei fedelissimi, alla faccia delle mega-selezioni “trasparenti e oggettive” durate un anno e mezzo e con le quali il governatore ha preso in giro i siciliani. Tutta una farsa. Una recita. Un baraccone. La Sanità siciliana era tutta lì: nel foglietto riempito dal primario, e recapitato al presidente.


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