Università bandita, il processo fermo, il legale: “Per me è un errore”

Università bandita, il processo fermo, il legale: “Per me è un errore”

Il penalista Giuseppe Lipera difende uno dei professori imputati

CATANIA – “Io non ritengo assolutamente che la Corte Costituzionale possa decidere di ripristinare un reato che il legislatore ha cancellato”. Interviene così, pubblicamente, l’avvocato Giuseppe Lipera, uno dei difensori dei 51 imputati del cosiddetto processo “Università bandita”, su presunti concorsi truccati nell’ateneo.

Ieri la seconda sezione penale del Tribunale si è espressa sulla questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Procura sull’abrogazione dell’articolo 323 del codice penale, vale a dire il reato di abuso d’ufficio. E ha ‘congelato’ i termini per la prescrizione, disponendo la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale.

I limiti del potere della Consulta

Secondo le mie conoscenze la Corte Costituzionale può decidere se un reato è incostituzionale, questo sì, ma il potere di creare norme punitive spetta solo ed esclusivamente al Legislatore, cioè al Parlamento – scrive l’avvocato Lipera -. Questo è il mio umile e modesto pensiero”.

La trasmissione degli atti, da parte del Tribunale, riguarda tutti gli imputati e tutti i capi di imputazione, perché tra loro potenzialmente interconnessi. Per gli imputati la Procura catanese ha chiesto 39 condanne e 12 assoluzioni. Decine i capi d’imputazione che riguardano, a vario titolo, corruzione, turbativa d’asta e abuso d’ufficio.

Il presunto errore

L’errore dell’ordinanza – prosegue l’avvocato – a mio avviso, sta nel fatto che viene chiamata in causa la Corte Costituzionale affinché possa decidere di abrogare una Legge che ha abolito un reato, l’art. 323 del Codice Penale (abuso d’ufficio)”.

Il processo è una pena diceva Cordero – ricorda ancora il legale – vorrà dire che gli innocenti di questo processo dovranno attendere ancora del tempo, cioè soffrire nel corpo e nell’anima, prima che vengano riconosciuti tali”.

L’inchiesta

L’inchiesta da cui è scaturito il processo è quella condotta dalla Digos della Questura e coordinata dalla Procura etnea. Quando scattò, nel 2019, portò alle dimissioni dell’allora rettore Francesco Basile e la programmazione di nuove elezioni universitarie.

Secondo quanto emerso dalle intercettazioni sarebbero stati predisposti a tavolino una serie di bandi e di assegnazioni di cattedre. E in questa indagine sono finiti anche l’ex rettore Giacomo Pignataro e diversi ex direttori di dipartimento.

Un “obbligo morale”

L’avvocato Lipera, poi, sottolinea che è “giusto dire che i provvedimenti giurisdizionali si devono rispettare ed eseguire laddove è necessario, ma ciò non toglie che essi non possano essere commentati e criticati”.

Fa presente di difendere un Professore Ordinario, uno dei 51 imputati del processo. E che il suo intervento pubblico scaturisce da quello che sente come un “obbligo morale”. “L’obbligo, per la mia coscienza, di esternare, sempre con il più dovuto rispetto, il mio assoluto dissenso – conclude – relativamente all’ordinanza con cui è stata sollevata questione di legittimità costituzionale”.


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