Uomini che mangiano tra i rifiuti | L'arte povera e disperata di Palermo - Live Sicilia

Uomini che mangiano tra i rifiuti | L’arte povera e disperata di Palermo

Non solo l'uomo che succhia la felce sui social. Ecco gli altri 'spettacoli' di una città tragica.

Chi è quell’uomo che si intravvede, quasi in dissolvenza? Non certo il suo nome, la sua identità. Chi è quell’uomo, in quanto uomo, teorico titolare di una dignità sacra e di un sacrosanto rispetto? Di lui sappiamo troppo poco, tranne, forse, l’essenziale che trapela da una testimonianza: sta verosimilmente assumendo scarti, rifiuti, cibo nella magrezza dei suoi stenti.

L’amara suggestione dell’ombra che sembra pasteggiare a munnizza circola sui social da qualche giorno, scarnamente e variamente commentata: niente al cospetto, per esempio, del video con l’amplesso vegetale di cui tutti sanno ormai tutto. L’ha scoperta e fotografata – in un panorama di macerie e masserizie, tra arredi e frammenti dalla foggia inconsueta – Laura Ammannato, palermitana dall’animo sensibile, che ha scritto su Facebook: “Uno scatto rubato che voglio condividere perché tutto ciò non passi inosservato. Quell’uomo seduto in quel salotto sta mangiando resti di cibo raccolti fra i rifiuti. Accade a Palermo, a ridosso del percorso monumentale arabo normanno, in quella capitale che non ha proprio più niente di normale. E la tristezza assale … ed è davvero infinita”. Una narrazione, suo malgrado, crudele con una annotazione successiva: “Ogni giorno vedo persone che cercano cibo in quei cassonetti”.

Ma non ce n’era, purtroppo, nemmeno bisogno, non è uno scoop o una notizia sensazionale: anche se ci trovassimo al cospetto di un manichino piantato in occasione di Manifesta, di un solitario giocatore di dama col ghiribizzo delle località bizzarre, la sostanza non cambierebbe. Lo spettacolo di una povertà estrema ormai è cronaca senza ristoro, nel quotidiano profondo e rimosso di Palermo che quasi mai si ammette, per ignavia, per timore.

Eppure ne incrociamo a decine di ombre, la sera, sulla via che conduce verso casa, simili all’installazione in oggetto. Non ne scorgiamo pienamente il profilo. Solo un accenno offerto dalla carità del buio. Come il personaggio messo a fuoco dall’immagine, frugano nell’immondizia per rintracciare arnesi utili alla sussistenza. Ci sono uomini e vecchi. Donne e ragazzi. Accade ovunque, senza più una consolante distinzione – per chi si accontentava e voleva a tutti i costi consolarsi con nulla – tra centro e periferie.

La reazione di coloro che transitano in macchina, tra quegli illuminati viali dell’inferno, è, appunto, la paura risolta con un colpo d’acceleratore. Nessuno si considera immune dal precipizio dell’indigenza. Meglio scappare per evitare il contagio. 

Così, per timore, per ignavia, gli uomini in dissolvenza, invisibili o visibili, vengono banditi dal linguaggio e dalla discussione, salvo riapparire, cocciuti, per dispetto. Sono infamanti granelli di polvere sotto il tappeto. Del resto, come osano salire alla ribalta questa arroganti protagonisti della miseria urbana? Chi gli ha dato il permesso di sfregiare lo show della bellezza, della cultura, del rinascimento in atto? Invece, loro sono ostinati. Intralciano il cammino. Scuotono quel poco di anima che non è stata ancora strangolata dall’indifferenza. 

Ma che associazione fantasmagorica di inutilità, che trucco di scena, che sortilegio variopinto è questa nostra città, nel suo chiacchiericcio pittoresco e vacuo che scansa l’essenziale, nei suoi balconi patrizi agghindati di gerani, nelle sue regge e nei suoi sottoscala, lì dove si decide e si lotta, coltellata su coltellata, per un posto lassù, sotto l’ipocrisia del consueto prestigio.

Ma che prodigio di omertà è questa città cieca e infelicissima che si lacera, si straccia le vesti e si divide, per giorni, sulla vicenda artistica (?) di un figurante che approccia una felce in pose astruse all’orto botanico. Infine, quando si imbatte nell’arte da strada di un essere umano che, notte per notte, succhia un filo di nutrimento tra i rifiuti, volge il viso altrove. Troppa carne per la trasparenza della retorica. Troppo sangue per il pallore intellettuale del dibattito. Troppa e troppo disperata Palermo.


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