Marcelo Zalayeta ha la faccia che i maschietti tifosi, da piccoli, e le femminucce degli anni Ottanta, anche qualche anno dopo, avrebbero voluto vedere stampata sul pelouche dei loro sogni. E’ soffice. E’ morbido. Ha un’inclinazione di lineamenti che richiama tenerezza, feste con le pizzette e con la Fanta, canzoncine dello Zecchino d’oro. E’ la sua astuzia maggiore. Se i difensori avversari si inteneriscono, zac, Marcelo il Pupazzo si infila come un grissino tagliente nelle carni della retroguardia avversaria. Tu ti svegli. Lui è già in fuga col bottino.
La storia di “Zala” ricorda da vicino certe vicende dei miti del socialismo reale. Uno Stakanov dell’area di rigore. Per anni, è stato colpevolmente sottovalutato. Alla Juve lo consideravano una ruota di scorta, per giunta un po’ sforacchiata. Se serve entra pure, ragazzo, ma non ti azzardare a condividere il desco con i campioni che, nello spogliatoio, ti offrono il privilegio di uno sguardo. E Marcelo entrava. Per segnare. Per cavare le castagne dal fuoco agli aristocratici, da perfetto e silente maggiordomo. Un grande sotto mentite spoglie. Gli juventini lo ricordano soprattutto per un gol al Barcellona in Champions. Il tocco fatato che permise alla Vecchia Signora di profanare il vecchissimo Camp Nou. I bianconeri più ortodossi rimpiangono ancora Marcelo – passato nel 2007 al Napoli – e la sua umile concretezza. Quel suo modo di entrare nella mischia ed uscirne sempre con la preda in bocca. Uno che faceva la spalla di Trezeguet e riuscì a sostituirlo più che degnamente, quando l’altero francese si infortunò – o ironia – a una spalla.
Un unico grande dolore sportivo: il rigore fallito con la maglia dell’Uruguay che costò alla “Celeste” il mancato sbarco ai mondiali tedeschi. Un penalty sbagliato contro l’Austria, la più cocente delusione dello Stakanov uruguaino. Gli alti e bassi della carriera, gli infortuni, il dovere perennemente ricominciare daccapo non hanno mai dissolto la ferrea volontà di Zalayeta. Ci saranno nuove aree di rigore in cui presentarsi con quella faccetta un po’ così, per poi estrarre il pungiglione al momento giusto. La vita del calciatore è un fiume pieno di detriti e riflessi dorati. Volete che non lo sappia uno che di secondo nome fa Danubio?