PALERMO – Una personalità “altamente negativa” e “assai incline alla commissione di delitti di falsità e soprattutto di falsità in ambito economico”.
Sono durissime le parole con cui lo scorso 5 ottobre il Tribunale del Riesame ha stabilito che Maurizio Zamparini meritava di finire agli arresti domiciliari. Ora si conoscono le motivazioni del provvedimento.
Il Giudice per le indagini preliminari aveva respinto la richiesta di misura cautelare sostenendo che non ci fossero esigenze cautelari. La Procura ha presentato un ricorso firmato dal procuratore Francesco Lo Voi, dall’aggiunto Salvo De Luca e dai sostituti Dario Scaletta e Francesca Dessì. Il collegio composto da Antonia Pappalardo, Giuliano Castiglia ed Erika Di Carlo ha dato ragione ai pubblici ministeri. Zamparini non andrà comunque ai domiciliari fino a quando non si pronuncerà la Cassazione.
Zamparini è accusato tra l’altro di riciclaggio e autoriciclaggio. È la stessa indagine che coinvolge, oltre al patron friulano, il figlio, la segretaria Alessandra Bonometti, cinque professionisti e l’ex presidente della società Giovanni Giammarva accusati, a vario titolo, di false comunicazioni sociali, ostacolo alle funzioni di vigilanza della Co.Vi.So.C., sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte. Contestualmente alle indagini penali, la Procura aveva chiesto il fallimento della società Us Città di Palermo. L’istanza, però, è stata respinta.
Il cuore dell’inchiesta è la vendita di Mepal, la società che si occupa del merchandising, alla lussemburghese Alyssa che l’accusa riconduce sempre a Zamparini. Secondo il Riesame, fu un’operazione fasulla. I giudici scrivono che “le conversazioni dei protagonisti, a cominciare da quelle di Maurizio Zamparini, manifestano con assoluta e inequivocabile evidenza la natura fittizia dell’operazione, compiuta strumentalmente per mettere in ordine i conti, dissimulando la reale situazione economico-patrimoniale della società”.
Ed ancora: “A fronte di una partecipazione valorizzata in bilancio per circa 18 milioni di euro la cessione viene effettuata alla stratosferica cifra, a confronto, di 40 milioni”. Non fu solo un’operazione fittizia, dicono i giudici, ma “assolutamente incredibile”.
C’è di più perché quando la Procura chiese il fallimento, Zamparini si sarebbe attivato per pagare alcune rate del debito di Alyssa. Sul punto il giudizio del Riesame è tranciante: “Non esiste alcuna Alyssa che si determina a pagare e che paga una parte del debito che la stessa formalmente ha nei confronti della Us Città di Palermo. È Zamparini a decidere e, con l’ausilio di suoi collaboratori e consulenti, a realizzare, al precipuo scopo di condizionare le valutazioni del consulenti d’ufficio della sezione fallimentare del Tribunale e in vista di un incontro fra gli stessi consulenti e le parti, l’operazione di parziale pagamento del debito, attingendo a risorse che nulla hanno a che fare con Alyssa, a farle pervenire, con la dovuta accortezza necessaria a schermare l’operazione stessa, nella formale disponibilità di Alyssa, e da qui a girarle verso la società palermitana”.
Altro non fu che “un escamotage, un espediente” che, come spiegava lo stesso Zamparini a una sua collaboratrice, serviva per “smontare il castello che hanno montato si cazzi qua”. E cioè i pubblici ministeri.
Il Riesame non ha accolto la tesi difensiva presentata in una lunga memoria, in cui si spiega che Alyssa ha già saldato il 60% del debito. Un consulente giustifica, passaggio dopo passaggio, tutte le operazioni finanziare del club, criticando i criteri di valutazione della Procura.
Sul fronte delle esigenze cautelari se da un lato, secondo il Riesame, non c’è più il rischio di inquinare le prove (soltanto perché ormai sono state acquisite), mentre quello di reiterazione del reato si presenta con “massima intensità”, non soltanto nelle vicende del Palermo Calcio, ma nell’intera “personalità dell’indagato” che ha dimostrato un “chiaro spregio delle regole della trasparenza per nulla limitato dalla consapevolezza di procedimenti giudiziari o amministrativi in corso”.
Il rischio non cambia neppure alla luce delle dimissioni di Zamparini dalle cariche societarie. Una scelta “indissolubilmente legata all’assunzione da parte di soggetti che l’odierno indagato riteneva e ritiene di potere condizionare, soggetti comunque disponibili nei nei suoi confronti e nei confronti dei suoi desiderata”. D’altra parte, fanno notare i giudici, era lo stesso Zamparini in occasione della convocazione da parte di Giammarva di un Cda a dire a un suo collaboratore: “Il patron sono io di tutto… voglio sapere le cose”. Unica consolazione è il no ribadito dal Riesame al sequestro di 21 milioni di euro al Palermo Calcio, assistita dall’avvocato Antonino Gattuso. Confermata la decisione di annullare il sequestro preventivo per le ipotesi di riciclaggio, autoriciclaggio e sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte.