L'importanza di chiamarsi Totò - Live Sicilia

L’importanza di chiamarsi Totò

IL BAR DELLO SPORT
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E in porta chi c’è? C’è Rubinho pettinato come il solista dei Cugini di campagna? No, c’è Totò? Ma Totò chi, scusa? Totò Sirigu! Superato lo choc oculistico, ci apprestiamo tremebondi a un pomeriggio di sofferenza al cospetto dell’occhialuto Ballardini e della sua ciurma ghignante. Davanti alla rete rosanero si cambia. Zenga conosce le emozioni che passano veloci nel cuore di un portiere, soprattutto quando è rotto.  La moneta di nuovo conio – il gentile brasiliano che (non)  para a sopracciglia riunite – è già fuori corso. Amelia sverna e Genova e, insomma, non è che siano domeniche tranquille le sue. Comunque non tornerà. Dunque, c’è rimasto solo Totò, o Giacomino che ha una panza che copre la porta, in alternativa. Ma Totò chi? Quello che prese tre gol contro i turchi, quando Guidolin – e vai a sapere perchè – decise di confinare la squadra titolare in cantina, perchè all’epoca il Palermo brindava, quando le buscava in Europa? Quello, quello… Bedda matri!
E Totò che fa? Gli tremano le gambe? Forse. Intanto si allunga su Zarate come un gattone (“parata non difficile”, concede il sussiegoso cronista di Sky). Schiaffeggia ancora il pallone su un diagonale al veleno, con la rabbia delle panchine trascorse, con l’adrenalina che piazza le molle sotto i garretti. Pausa.  Ferma col piede un quasi gol, mentre a Sky cominciano ad entusiasmarsi davvero. Pausa.  Finchè nel secondo tempo non arriva Rocchi, il giustiziere del Palermo. Tiro, respinta più per l’estetica a dita e cuore spalancati. Ri-tiro. Ed è qui che Totò cava fuori dal cilindro la magia, l’alabarda spaziale, il sonetto, il quadro d’autore. Palla parata con un riflesso incredibile. Rocchi si mette le mani nei suoi capelli immaginari, perchè magari se quello ha parato quella cosa là – pensa il centravanti – potrebbero essere ricresciuti, visto che il calcolo della probabilità è lo stesso. E Totò che fa, stavolta? Si alza tranquillo. Si scuote la polvere dell’erba degli scarpini e si rimette in porta come un impiegato del tuffo e del miracolo. Miracoloso Totò Sirigu. E dire che l’abbiamo avuto sempre a portata di formazione, è stato lì, nell’ombra, in tutti questi giorni, aspettando il suo sorso di luce. Un campione dell’attesa. Ma che bella storia di uomini e pallone è questa. E lo sarebbe ancora di più se, nell’altra faccia degli occhi felici di Totò, non ci fossero le pupille nere  e tristi di Rubinho. Uno che non merita il dolore.

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