Dirigenti generali alla Regione | Indaga la Corte dei conti - Live Sicilia

Dirigenti generali alla Regione | Indaga la Corte dei conti

Il periodo sotto la lente d'ingrandimento è quello che va dal 2009 al 2010. Le nomine riguardano la giunta di Raffaele Lombardo. Il danno contestato dal procuratore Aloisio è di 2 milioni e 60mila euro. Ma alcuni di quegli esterni (Monterosso e Palma), oggi sono ancora al loro posto. Nonostante una pioggia di ricorsi e contenziosi. Ecco i curricula dei nove dirigenti generali e le motivazioni per cui il governo, nel 2010, ne cacciò sei su nove (dal mensile "S" del giugno 2010)

PALERMO – Sono rimasti in tre. E costano comunque molto. Patrizia Monterosso, Romeo Palma e Marco Lupo sono i superstiti di una specie in via d’estinzione. Forse. Sono loro gli ultimi tre dirigenti generali esterni della Regione siciliana. Per una di loro, l’attuale Segretario generale, a dire il vero, la stessa Regione siciliana governata da Raffaele Lombardo, circa tre anni fa, sottolineò l’insussistenza dei titoli necessari per svolgere il ruolo di capo dipartimento. Anche per questo motivo, Patrizia Monterosso fu estromessa da quel ruolo, insieme ad altri cinque colleghi. Ne restarono in tre. Ma per quelle nomine, adesso, il governatore di Grammichele e i suoi assessori potrebbero pagare caro. La Procura della Corte dei conti indaga. E il danno erariale presunto è di oltre due milioni.

Nell’inchiesta sono finiti gli incarichi all’avvocato generale dell’ufficio legislativo e legale Romeo Ermenegildo Palma, al direttore per le attività produttive Nicola Vernuccio, al direttore del dipartimento dell’Energia Rossana Interlandi, al direttore dell’agenzia regionale per l’Impiego Rino Lo Nigro, al dirigente del dipartimento della pubblica Istruzione Patrizia Monterosso, al dirigente dell’Agricoltura Salvatore Barbagallo, al dirigente del dipartimento per la Pesca Gian Maria Sparma, al dirigente dell’assessorato alla Salute Maurizio Guizzardi e al dirigente del dipartimento regionale per le attività sanitarie Mario Zappia.

Il presunto danno contestato dal procuratore della Corte dei Conti, Giuseppe Aloisio, come si legge negli inviti a comparire appena notificati, è di 2 milioni e 60 mila euro. A restituire la somma nelle casse della Regione è chiamata la giunta di governo composta da Raffaele Lombardo i cui assessori erano, Gaetano Armao, Giovambattista Bufardeci, Mario Centorrino, Caterina Chinnici, Michele Cimino, Giovanni Di Mauro, Luigi Gentile, Nicola Leanza, Pier Carmelo Russo, Massimo Russo, Antonino Strano, Marco Venturi e il dirigente capo di Gabinetto Antonino Scimemi.

La storia non è recente, ma alcuni paradossi si spingono fino ai giorni nostri. Quello del Segretario generale, appunto, considerata non all’altezza – dall’allora Ragioniere generale della Regione siciliana Enzo Emanuele, che lo spiegò attraverso una propria relazione interna, che si aggiunse, ricalcandola, a quella dell’attuale garante della Concorrenza Giovanni Pitruzzella – di svolgere il compito di dirigente generale, ma pochi mesi dopo finita persino al vertice della burocrazia generale. Con tanto di ricorsi, oggi, pendenti, contro quella nomina giunta nonostante il possesso di una laurea in filosofia. Ma anche Romeo Palma, al vertice dell’Ufficio legislativo e legale, nonostante facesse parte della ristretta cerchia dei promossi (insieme a Guizzardi e Barbagallo), finì al centro delle polemiche perché allora non iscritto all’ordine degli avvocati.

Eppure, paradosso nel paradosso, fu proprio Palma, nel 2011, come raccontano le Sezioni riunite della Corte dei conti in occasione dell’ultimo Rendiconto, a chiedere di fissare, finalmente, le benedette regole per l’attribuzione degli incarichi esterni: “Nel febbraio del 2011 – scrive la Corte – l’Ufficio legislativo e legale aveva reso un parere alla Presidenza evidenziando l’opportunità, al fine di evitare iniziative contenziose sui futuri provvedimenti di nomina, di procedimentalizzare la procedura di attribuzione degli incarichi dirigenziali a soggetti esterni all’Amministrazione”. Ma di questa “procedimentalizzazione” non c’è traccia. “Sul punto, – si legge sempre nel Rendiconto generale – l’Amministrazione regionale, pur affermando che, di fatto, nel 2012 ci si è attenuti alle prescrizioni dell’art. 19, comma 6, dianzi menzionato, non ha reso noto se sia stata o meno disciplinata la procedura del conferimento degli incarichi dirigenziali a soggetti esterni”.

L’articolo e il comma cui si fa riferimento, appartengono al decreto legislativo 165 del 2001, che fissava appunto i requisiti per l’attribuzione degli incarichi, che possono andare solo “a persone di particolare e comprovata qualificazione professionale, che abbiano svolto attività in organismi ed enti pubblici o privati o aziende pubbliche e private con esperienza acquisita per almeno un quinquennio in funzioni dirigenziali o che abbiano conseguito una particolare specializzazione professionale, culturale e scientifica desumibile dalla formazione universitaria e postuniversitaria, da pubblicazioni scientifiche o da concrete esperienze di lavoro, o provenienti dai settori della ricerca, della docenza universitaria, delle magistrature e dei moli degli avvocati e procuratori dello Stato”.

Requisiti che non sarebbero stati tenuti in considerazione dalla Regione. Un “errore” che si sarebbe sommato alla mancanza di quella “procedimentalizzazione” che, giusto per farla semplice, consiste nella preventiva verifica delle risorse all’interno dell’amministrazione. Insomma, qualunque governo, prima di attribuire un incarico di dirigente esterno, deve verificare se tra il personale esistente esiste già qualcuno in grado di svolgere quel ruolo. A maggior ragione, probabilmente, un amministrazione che può contare su un numero stratosferico di dirigenti.

Più discusso il limite “numerico” per l’attribuzione di quei ruoli. La legge Brunetta fissa il tetto del 10% per gli incarichi apicali da affidare all’esterno (non più di tre, quindi, considerato il fatto che oggi i dipartimenti – o gli uffici equiparati – sono 27), mentre la normativa regionale si spinge fino al 30% (nove incarichi). Su questo punto, sempre la Corte dei conti ha invitato il governo a “riportare entro i più ristretti limiti previsti dalla normativa nazionale la possibilità di ricorrere a professionalità esterne all’Amministrazione regionale”. Ma quel limite, almeno quello, al momento, è rispettato. In passato non è stato così.

“A seguito della nomina di un consistente numero di dirigenti generali esterni – scrive infatti la Corte proprio riguardo agli incarichi oggetto dell’indagine della Procura contabile – alla compagine regionale, avvenuta nel 2009, sono state avviate azioni legali da parte dei soggetti non riconfermati nel precedente incarico”.

Si tratta, nel caso specifico, di dirigenti interni che oggi, in due casi su quattro, ricoprono il ruolo di capo dipartimento. Sono “colleghi”, insomma, di quegli stessi direttori contro le cui nomine hanno avanzato ricorso al Tar. Maria Antonietta Bullara (attuale dirigente generale alla Famiglia) e Giuseppe Morale (oggi dirigente generale del dipartimento Autonomie locali) infatti, tre anni fa, insieme ai colleghi direttori di allora Giuseppe Li Bassi e Michele Lonzi aveva avanzato un ricorso contro la scelta dell’ex governatore Lombardo di sostuirli, nel ruolo di dirigenti generali della Regione. Più recentmente, invece, ecco anche due distinti ricorsi al Tar contro la nomina di Patrizia Monterosso avanzati da aspiranti Segretari generali: Salvatore Taormina e Alessandra Russo.

Una cosa è certa. Che si tratti di nomine legittime o meno, i dirigenti generali esterni costano molto. Lo ha sottolineato anche la Corte dei Conti: “A fronte di oltre 1.800 dirigenti di ruolo, è poco plausibile ritenere che non siano già disponibili idonee professionalità all’interno della Regione. La mancata valorizzazione delle risorse interne – precisano ancora i giudici contabili – è in definitiva la causa dei costi sostenuti per retribuire i dirigenti esterni, per i cui emolumenti, come già evidenziato nel paragrafo precedente, è previsto un tetto massimo il cui importo è di gran lunga superiore alla retribuzione massima dei dirigenti generali interni”. Una pratica discutibile che, sebbene ridotta molto nel numero, con l’arrivo del nuovo governo, rimane difficilmente comprensibile.

Il tetto massimo cui si fa riferimento è quello fissato da una legge regionale del 2007: 250 mila euro annui. Per Patrizia Monterosso, stando ai dati pubblicati sul sito ufficiale della Regione, lo “stipendio” annuo oggi sfiora i 170 mila euro lordi. Cifra molto simile quella guadagnata dal dirigente generale del dipartimento Rifiuti Marco Lupo: 161.519,80 euro. Ma il “top” dei compensi spetta all’Avvocato generale della Regione. Per Romeo Palma, stipendio che ammonta a 219.861,42 euro lordi. Soldi che in buona parte potrebbero essere risparmiati tramite il ricorso agli interni. Ma soldi che la Regione, anche in tempi di spending review selvaggia, continua a spendere. Allora, come adesso. Con Lombardo e con Crocetta


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