Il costo del sindacato| (prima puntata) - Live Sicilia

Il costo del sindacato| (prima puntata)

Com'è avvenuto per il costo della politica, divenuto ormai argomento principe di saggi e talk-show, può essere interessante una ricognizione sul costo del sindacato.

mario centorrino, piero david e antonella gangemi
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Come è noto, le organizzazioni sindacali non sono tenute a pubblicare bilanci aggregati che rappresentino la loro effettiva rilevanza economica. Sono associazioni di fatto, e non hanno mai chiesto il riconoscimento da parte dello Stato: una condizione che le sottrae ad una serie di vincoli tra cui l’obbligo di trasparenza sui propri conti. Ma, come è avvenuto per il costo della politica, divenuto ormai argomento principe di saggi e talk-show, può essere interessante una ricognizione del costo del sindacato.

Cerchiamo di tracciare un quadro di massima delle principali fonti di finanziamento sulla base della Nota Amato del 2012 e della documentazione disponibile sul sito www.economy2050.it . Le risorse finanziarie affluiscono al sindacato tramite le quote associative degli iscritti, il distacco de lavoratori per lo svolgimento di attività sindacale durante l’orario di lavoro e tramite soggetti giuridici che svolgono attività para-sindacale come i patronati o i Caf.

Una cifra indicativa degli incassi da tesseramento, calcolando un versamento medio pro-capite di 100-130 euro per lavoratore e di 50-60 euro per un pensionato viene stimata in 900 milioni di euro. Va annotato che non c’è chiarezza ad oggi, però, sull’effettiva consistenza dell’adesione sindacale. Si tratterebbe di dodici milioni di iscritti ( dati 2013, fonte CGIL, CISL e UIL), ma altri lamentano la scarsa attendibilità di questi calcoli, che comunque indicherebbero, facendo ricorso alla nasometria, per la triplice, un fatturato da tesseramento pari a 1 miliardo e 200 milioni.

Nel 2012, la Corte dei Conti ha quantificato il costo dei permessi sindacali a carico del settore pubblico, utilizzati da 4569 dipendenti (uno ogni 550 in servizio) in un costo complessivo di 151 milioni di euro. Ma la forma di assistenzialismo pubblico di gran lunga più presente è il distacco dei dipendenti pubblico preso la sigle sindacali. Secondo la Nota di Amato sono 3.665 i dipendenti della P.A. che lavorano a tempo pieno per i sindacati. Visto che il loro stipendio (comprensivo di contributi, premi di produttività, buoni pasto) viene pagato dalla Stato, tale “prestito gratuito” di lavoratori ha un costo qualificabile in circa 110 milioni.

Veniamo ai patronati, gestiti appunto dai sindacati.

Si tratta di strutture che assistono e tutelano i cittadini italiani (e stranieri) sui servizi in materia di sicurezza sociale erogati da varie amministrazioni pubbliche. Una riserva di attività molto ampia che comprende anche la gestione per la cassa integrazione o dei sussidi di disoccupazione.

Lo Stato, riconoscendo la rilevanza sociale di queste attività, assegna ai patronati lo 0,23 per cento dei contributi obbligatori incassati da INPS e INAIL. Secondo la Nota Amato si tratta di 430 milioni di euro annui suddivisi tra circa trenta soggetti riconosciuti e ripartiti in base all’attività svolta. Tra queste primeggiano le strutture di CGIL, CISL e UIL ma esistono anche enti promossi dai sindacati minori e dalle associazioni datoriali.

Occorre precisare che alcune prestazioni offerte sono gratuite mentre altri servizi sono a pagamento per chi li richiede (ad esempio, il rinnovo dei permessi necessari agli immigrati). Non esistono ci viene detto, dati sull’effettivo fatturato annuo di provenienza privata, ma, sempre a naso, considerato il fatto che è in ascesa da anni il numero delle pratiche svolte, dovrebbe aggirarsi sui dieci milioni.

Un punto importante da sottolineare. A questa attività di interfaccia con l’amministrazione previdenziale ha una valenza strategica per i sindacati: permette di reclutare nuovi iscritti e di stabilire reti relazionali utilissimi per l’attribuzione di consensi elettorali pilotati.

Dobbiamo parlare ora dei CAF (Centri di assistenza fiscale) che svolgono assistenza ai cittadini al momento della dichiarazione dei redditi e dell’invio di comunicazioni all’amministrazione finanziaria. Le strutture sindacali ne gestiscono il 45% (il resto è in mano a datori di lavoro, professionisti, organizzazioni cattoliche) assorbendo risorse pubbliche per circa 80 milioni. I CAF possono chiedere compensi al fornitore privato nel caso della compilazione di modelli ricevendo comunque per ogni pratica dallo Stato 14 euro e 26 euro in caso di dichiarazioni congiunte. Sul fatturato di origine private non esistono dati ufficiali. Le stime sono orientate intorno ai 150 milioni di euro.

Un rilievo critico frequente. Sia i patronati che i CAF non sono assoggettati a regole che ne incentivino l’efficienza: le contribuzioni pubbliche sono stabilite per legge o convenzioni sulla base del criterio delle quantità e non della qualità. Nessuna penalizzazione per pratiche incomplete o errate e mancati controlli per impedire la doppia lavorazione della stessa posizione da parte degli enti pubblici destinatari.

Mancano materiali di conoscenza attendibili sul rapporto diretto (in Sicilia ormai interrotto) tra sindacati ed enti di formazione professionale, ma non va dimenticata un’altra contribuzione poco nota, quella versata agli enti bilaterali (sindacati ed imprese) che dovrebbero offrire prestazioni e servizi ai lavoratori di formazione professionale e sostegno al reddito. Questi enti ricevono un contributo da tutti i lavoratori (vicino allo 0,50 per cento della retribuzione) in base a norme previste dai contratti collettivi, sono di diritto privato: non sottoposti quindi a controllo o a limiti di compenso per gli amministratori.

C’è un’altra “tassa” pagata, come quella appena descritta, da tutti i lavoratori e non solo da quelli sindacalizzati: le quote per l’assistenza prelevata una tantum dopo la conclusione di un contratto.

Restano da considerare le consistenze immobiliari. Le uniche cifre disponibili registrano le tre principali sigle: la CGIL dichiara la proprietà di tre mila sedi in mano a singole strutture territoriali o di categoria; la CISL ha quantificato le sue sedi in 5 mila; la UIL, in controtendenza, ha creato una società in cui sono confluiti immobili per un valore storico di 35 milioni (ma il cui valore commerciale dovrebbe risultare di gran lunga superiore) senza peraltro conferire l’intero patrimonio di natura immobiliare.

In conclusione, quali sono i bilanci ufficiali della Triplice? Nel 2012 la CGIL ha dichiarato un utile di 38 mila euro a fronte di un fatturato di 26,7 milioni costituito per gran parte dagli introiti del tesseramento. In perdita il bilancio della CISL (un milione di euro) con un tesseramento che assicura introiti per venti milioni. La UIL brinda agli utili: 500 mila euro con un tesseramento che ha fatto incassare 26 milioni.

Una domanda d’obbligo. I rendiconti dei sindacati sono compatibili con la realtà delle cifre prima esposte? In mancanza di riepiloghi consolidati evidentemente la risposta non può che essere negativa.

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