La sposa, le feste a casa, Nicolino | Le storie di quel palazzo bruciato - Live Sicilia

La sposa, le feste a casa, Nicolino | Le storie di quel palazzo bruciato

Le fiamme in un giorno d'agosto. E quello che è rimasto. E che si può raccontare

PALERMO – Sono vent’anni ormai che il vigile del fuoco Nicolino Billitteri ci sorride celestialmente, in forma di lapide, da piazza Cascino. Sorride ai paraurti delle auto posteggiate, ai cani e ai padroni in multiplo transito. Quel giorno di vent’anni fa, mentre il palazzo sopra il negozio di giocattoli bruciava, l’ardimentoso Nicolino si slanciò, protetto dall’uniforme e dall’amore della sua famiglia. Al culmine delle fiamme, un solaio gli cadde addosso. Così, morì da eroe, suo malgrado.

Sono vent’anni ormai che Pino Apprendi, uomo buono, già vigile del fuoco, quando riannoda il filo di più tragedie incardinate in quel contesto, si mette a piangere. Ma lo fa in modo silenzioso, come le querce che non vogliono mostrarsi deboli. Piange al suo interno, lasciando che, a pelo di ciglia, si intravveda un flebile luccichio. Sono vent’anni che la moglie di Nicolino porta suo marito in un ciondolo che comincia dal collo e si poggia sopra il cuore.

I figli sono bravi vigili del fuoco come papà. Qualche tempo fa, Salvo Billitteri rammentava gli istanti che non possono essere scordati; quel giorno, sì: “Ero in negozio dalla nonna, perché volevo dare una mano. Per molte ore rimanemmo frastornati, in preda allo choc. Si seppe che c’era una vittima, poi che era un vigile del fuoco, poi qualcuno fece il nome: ‘Pillitteri, Billitteri…’ Era papà”. E ancora: “Ero semplicemente affascinato da lui. Mi portava con lui in caserma, conoscevo i suoi colleghi e i suoi amici. E mi raccontavano che, pure sul lavoro, era uno spirito burlone, sempre in vena di scherzi, ma anche un uomo responsabile, generoso e coraggioso che non si tirava mai indietro”. Infatti, non si tirò indietro.

In questi vent’anni, Palermo, trafitta dalle sue croci, si è scrollata di dosso la nebbia soffocante di piazza Cascino, per sovrabbondanza di lutti; l’ha relegata nel novero delle lacrime di secondo piano. E forse, la riscoperta da una singolare visuale è pure migliore. Lì dove non rimbomba la grancassa, puoi auscultare meglio il battito.

Perché ci sono storie familiari, dentro il grande libro degli eventi. E sono quelle che aiutano ad amare e a ricordare. A non dimenticare persone perbene, galantuomini come un ingegnere della Protezione civile, Mario Cerrone, che fu un sostegno per i condomini sfollati e che si batté per i lavori, affinché tutti potessero tornare a casa, come accadde. Quelle storie… E chi le ha smarrite?

C’era una sarta, nel palazzo divorato dal fuoco, e stava preparando l’abito per una giovane sposa. L’allarme, il caldo, la confusione e la fuga. Ma il vestito nuziale non andò perduto, resistette miracolosamente allo sfregio delle temperature e, grazie anche a un robusto lavaggio, arrivò in tempo all’occasione convenuta.

C’era un giovane nipote che aveva uno zio amatissimo, nel palazzo del rogo, che abitava un appartamento spazioso in cui si cenava e giocava a tombola per le feste natalizie. Quel ragazzo, appena socchiudendo gli occhi, potrebbe rievocare perfettamente le emozioni del tempo e mettere in fila le stanze, una a una, fino al salone ampio che veniva adornato con un lungo tavolo per il baccarat che seguiva la tombola, mentre lampadari antichi pendevano dal soffitto. Molti anni dopo, da giornalista, sarebbe tornato, sulle orme della cenere, per raccogliere notizie del disastro. E non c’era più alcuna voce allegra che gridasse: “Nove!”.

C’era un signore gentile che, con paziente sacrificio, in quel palazzo di luce rossa, aveva acquistato la casa dei suoi genitori, la sua casa da bambino, come se si potesse prendere al guinzaglio la felicità, semplicemente andandola a trovare nella camera del primo incontro. E se ne stava a osservare la distruzione con uno sguardo atterrito.

Vent’anni di balconi infiorati, con i jeans stesi ad asciugare, di musica che squilla da una finestra, mentre qualcuno si ferma dal basso e ascolta. Vent’anni di cani che invecchiano, di piatti con la pasta e caffè in veranda. Vent’anni di ‘vengo dopo il Tg’, di sonnecchiamenti, di trasalimenti. Vent’anni di una pace faticosamente ricostruita.

E sono vent’anni ormai che Nicolino, l’angelo custode di quei luoghi, ci guarda. Vent’anni che gli mandiamo un bacio, se per caso passiamo di là. E Nicolino Billitteri respira, non più lapide, né monumento, come se domani fosse un altro giorno da vivere.

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