Parla Roman, il tedesco aggredito|"Non odio chi mi ha colpito" - Live Sicilia

Parla Roman, il tedesco aggredito|”Non odio chi mi ha colpito”

Una aggressione brutale e la sentenza. Ma non c'è rancore nella vittima.
PALERMO - L'INTERVISTA
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4 min di lettura

PALERMORoman Maruhn, tedesco di nascita , giornalista, operatore culturale al Goethe Institute, ha un’anima che risplende perfino tra le ombre di Palermo, la città che ha scelto per viverci. Quando narra del dolore, della brutale aggressione di cui è stato vittima, degli strascichi nel corpo e nel cuore, lo fa con una compassione che riempie ogni sua parola.

Un sentimento dell’umanità come esperienza condivisa che meraviglia, in tempi tanto truci, e che, per fortuna, esiste ancora. Roman fu picchiato, in pieno centro storico, da un ragazzo di vent’anni, ricevendone conseguenze pesantissime per la sua salute. Secondo la cronaca fin qui disponibile, per scatenare il finimondo bastò appena qualche parola scambiata con una donna che voleva passare con la macchina dove non era consentito. Seguì la terribile reazione del figlio di lei. Il ragazzo, Salvatore La Barbera è stato condannato a cinque anni con il rito abbreviato.

Roman, come stai?

“Abbastanza bene. Sono passati sette mesi. Alcune cose migliorano, altre resteranno come erano. Ho perso una parte dell’udito dall’orecchio destro. Ho qualche problema di sensibilità alla mano e al piede sinistri. Ma, tutto sommato, sono tornato alla normalità. Ringrazio i medici e la mia famiglia. Sono stati essenziali”.

Cosa è accaduto quel giorno? Come convivi con il trauma e le ferite?

“Forse sono di più gli altri che subiscono quel trauma, perché io non ho memoria dell’aggressione in sé. Mi riferisco alla mia compagna, a mia figlia e ad altre persone presenti. Non deve essere stato bello vedere due pugni sferrati in faccia e la mia caduta a corpo morto. Ripeto: della violenza non ricordo nulla. Una condizione normale per chi sperimenta quello che ho sperimentato io, con il coma e tutto il resto”.

Andiamo agli attimi precedenti.

“Ho visto la signora in macchina che parlava con mia figlia e con altri bambini. Pensavo che magari loro avevano fatto qualcosa e mi sono avvicinato, raccomandando ai bambini di allontanarsi. Lei suonava il clacson, alzava la voce e chiedeva conto di motorini che le ostruivano il passaggio. Mi ha chiesto di spostarli. Io le ho risposto, con la massima calma, che non potevo toccare cose non mie e le ho ricordato che, comunque, la sua automobile si trovava in una zona pedonale. Ma non l’ho rimproverata, né era questo il centro della nostra conversazione. Poi è successo, però è calato il buio nella mia testa”.

Sei stato portato a Villa Sofia e successivamente trasferito al Buccheri La Ferla.

“Pensa che non so nulla delle tre settimane dopo l’aggressione. Ho ricordi che erano sogni o allucinazioni. Credevo di essere a Venezia. E questo non mi va. Mi piace avere il controllo di me stesso. Sono andato al processo per guardare in faccia il mio aggressore”.

Che impressione nei hai ricavato?

“Nessuna. Aveva i capelli rasati a zero e capivo che non era felice”.

Un momento: ti preoccupi della sua felicità?

“Non mi piace nemmeno vedere la gente che soffre. La mia compagna mi ha raccontato che mi ha guardato un paio di volte, non di più”.

Provi odio? Provi rancore?

“No, sono sentimenti che non mi appartengono. Io non odio. E poi ho conosciuto chi mi ha fatto del male solo al processo, appunto. I medici mi hanno detto che sono stato fortunato, che è accaduto un miracolo. Certo, è difficile confrontarsi con la violenza, specie se è così immotivata e surreale. Perché lo ha fatto? Non lo so, è una domanda aperta che non ha risposta. Tutto è stato come un fulmine a ciel sereno”.

Cosa pensi della sentenza?

“Non è mio compito giudicarla. Per questo esiste la giustizia in cui io ho piena fiducia. Non voglio esprimere valutazioni”.

Forse ‘perdono’ è una parola prematura.

“Io sono disposto al perdono, ma prima ci deve essere una piena assunzione di responsabilità e di verità. Non aggiungo altro”.

E non provi rancore.

“Penso che questo ragazzo è davanti a una sfida difficile e spero che per lui cominci un periodo utile, in cui possa imparare qualcosa e che lo possa aiutare. Ci sono gli educatori, gli psicologi, in carcere. Sì, spero con tutto il cuore che impari qualcosa”.

Quando hai capito che stavi ricominciando a vivere?

“Quando, dalla stanza della fisioterapia, ho visto il mare attraverso la finestra. Lì sono rinato”.

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