Mentre si litiga, il virus corre: ma le zuffe non ci salveranno - Live Sicilia

Mentre si litiga, il virus corre: ma le zuffe non ci salveranno

Le discusse scelte di Roma e la narrazione della Regione che stride con le storie di ogni giorno.
CORONAVIRUS
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Certo, è inutile negare che vedere la Sicilia arancione e la Campania o la Liguria gialle, dopo tutto quello che abbiamo letto in queste ultime settimane, ci ha scioccato. Certo, è inutile negare che su una decisione che incide così drammaticamente sulle vite di molte persone, baristi e ristoratori costretti a chiudere in primis, sarebbe stato lecito aspettarsi una maggiore chiarezza, trasparenza e completezza di informazioni da parte del presidente del Consiglio nella sua ormai familiare passerella serale. Ci hanno provato ieri a spiegarlo in conferenza stampa gli esperti il perché di una scelta di questo tipo, ma i risultati dal punto di vista della chiarezza non sono stati esemplari.

Tutto questo non si può negare, ma nemmeno si può cedere alla tentazione di abbandonarsi a retropensieri complottisti. Anche perché le lamentele e le perplessità non sono solo siciliane. Sta di fatto che le valutazioni, per quanto macchinose e magari difficilmente comprensibili, degli esperti hanno condannato la Sicilia a questo mezzo lockdown, con un altro colpo da ko per l’economia dell’Isola già provatissima da quei due mesi infiniti in cui tennero tutta l’Italia chiusa quando il virus circolava per l’ottanta per cento solo in tre regioni. Oggi che finalmente il governo Conte non ripete quella sconsiderata mossa che ha inflitto una sofferenza devastante alla nostra economia, il destino ci tiene lontani dalla zona gialla, il colore meno tragico, e ci veste d’arancione. Ma è davvero  colpa del destino?

Le opposizioni siciliane hanno gioco facile a puntare l’indice contro il governo Musumeci. Perché con i numeri che abbiamo, le misure più severe si comprenderebbero solo alla luce di una valutazione infelice della possibilità di tenuta del sistema sanitario. L’assessore Razza oggi ha spiegato che così non è e che i dati siciliani non giustificherebbero queste misure. Nel caos si combatte una guerra di numeri e comunicati stampa, mentre il mondo della ristorazione, e non solo quello, affonda.

E però, le immagini delle ambulanze ferme in fila per lungo tempo, le cronache dei pronto soccorso in affanno, le storie dei parenti di positivi bloccati aspettando l’Asp che manco Godot, in quel tracciamento che da un certo momento in poi in Sicilia è diventato malgrado gli sforzi una chimera (finalmente da qualche giorno è cominciato uno screening di massa, benedetto), la lunghissima attesa all’Ars per vedere nero su bianco un piano dettagliato, tutte queste piccole e grandi vicende di cui abbiamo scritto ogni giorno raccontano una storia un po’ diversa. E non c’era bisogno di un colore per vederlo.

E allora, quell’arancione, ripensando a tutto questo, può stupire solo fino a un certo punto. E diventa il colore del rimpianto, per quanto forse si poteva fare di più e di meglio. Soprattutto ripensando all’estate. E non solo alle mancanze delle Istituzioni, questo ormai lo abbiamo ben compreso e ce li ricordiamo bene i comportamenti visti in giro quando il Covid ha cominciato a girare davvero in Sicilia.

Ciò non toglie che si resti perplessi se si pensa al trattamento riservato ad altre realtà geografiche: apprezzabile, meglio dovuta, sarebbe una più nitida e definitiva parola di chiarezza del ministro o di chi per lui, dopo le proteste dei governatori.

Intanto non ci resta altro da fare che stare a sentire il campanello d’allarme di Roma. La nostra curva dei contagi non accenna a rallentare, i posti letto si vanno riempiendo, i malati in terapia intensiva sono aumentati di cinque volte e mezza in quattro settimane dai primi di ottobre ai primi di novembre, come abbiamo spiegato qui.

Quello che ci viene detto oggi non è che siamo al tracollo ma che stiamo correndo verso quel rischio. È allora il momento del massimo impegno per invertire la tendenza. Stato e Regioni si azzuffino meno e facciano ognuno la propria parte. Per sperare che da qui a due settimane in Sicilia si possano costruire le condizioni per far tornare su quelle saracinesche chiuse, l’unica certezza rimasta in questa guerra di reciproche accuse.


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