Covid, le criticità del sistema: "Gravi carenze di personale " - Live Sicilia

Covid, le criticità del sistema: “Gravi carenze di personale “

Il dottor Riccardo Spampinato a tutto campo sull'emergenza Covid. Il punto anche sul nosocomio acese.

ACIREALE – Emergenza Covid e medicina ordinaria: tutte le criticità di una convivenza forzata. Riccardo Spampinato, segretario regionale del Cimo e direttore del reparto di “odontoiatria speciale riabilitativa nel paziente disabile”, fa il punto sullo stato dell’arte dell’ospedale di Acireale.

“Il percorso protetto” 

“La nostra attività prosegue regolarmente proprio perché l’abbiamo programmata sin dall’inizio, quel sabato famoso quando siamo usciti dalla riunione convinti che l’ospedale di Acireale sarebbe stato esclusivamente destinato a pazienti Covid”, spiega. “Parlai con il direttore sanitario che mi disse che per la mia attività come la dialisi e la neuropsichiatria infantile perché uniche sul territorio”, continua. Spampinato spiega come ha congegnato un iter in grado di tutelare i propri pazienti. “Abbiamo creato un  percorso assolutamente protetto: i nostri pazienti non passano dall’ospedale, fanno i tamponi prima di salire in reparto e hanno un ascensore loro dedicato, abbiamo pianificato tutto in due giorni isolando il nostro reparto”, spiega. “Noi operiamo regolarmente: abbiamo fatto 1200 interventi durante il lockdown”, aggiunge. 

Il Pronto soccorso misto e i rischi connessi

Ma basta scostare lo sguardo e la quotidianità della vita ospedaliera  diventa tutt’altro che semplice. A tenere banco c’è la situazione del Pronto soccorso misto che non convince affatto lo specialista. “Noi abbiamo mantenuto un Pronto soccorso aperto a tutti con due percorso distinti tra pazienti Covid e non Covid che rischia di creare difficoltà. Sono i privati con i loro mezzi a venire ad Acireale, le ambulanze se prendono un codice rosso sanno di non potere venire qui”, spiega. 

“Questo è un rischio per la popolazione. In caso di emergenza 118 non si viene ad Acireale, per una rottura di femore nemmeno perché ortopedia ha chiuso, se c’è un bambino iperfebbrile non può essere trasportato qui perché pediatria ha chiuso, un caso di sospetto trauma per la rottura della milza non lo possiamo ricevere perché la chirurgia d’urgenza c’è ma non potrebbe immediatamente passare il paziente in rianimazione perché i posti in terapia intensiva sono tutti dedicati al Covid”, argomenta. “Cosa abbiamo ottenuto? Stiamo disperdendo delle energie per un pronto soccorso non Covid quando quell’ospedale non può più fare tante cose perché è pieno a tappo, o è previsto che lo sia, per il Covid”, spiega il medico. E non solo. 

La scelta obbligata di passare in corso d’opera da novanta a sessantotto posti letto a causa dell’impossibilità strutturale di rifornire di ossigeno tutte le postazioni non ha sorpreso il medico acese.  “Non mi meraviglio perché quando si creano i posti letto per un reparto di chirurgia si collocano le teste letto con l’ossigeno. La portanza del tubo è di dieci litri al secondo, ma se metti ventilatori polmonari la portanza di dieci litri al secondo probabilmente non è adeguata”, commenta. “Quando dove si erogavano dieci litri al secondo ne devi garantire cento è possibile che questa portanza non sia sufficiente. Il punto non è aprire i posti letto ma capire se questi sono o meno adeguati e idonei al bisogno del paziente intubato”, spiega Spampinato. Tuttavia il problema secondo il medico e sindacalista del Cimo va ricercato a monte. 

I posti in terapia intensiva

I nodi da dirimere sono quelli legati alla mancata pianificazione e alla carenza di personale. “Il problema fondamentale è un altro: il personale. Dove sono gli anestesisti? Ricordo che esiste un piano sanitario regionale che prevede un numero di posti letto e che a un tot di posti letto corrispondono delle professionalità”, spiega. “Per dieci posti letto in terapia intensiva ci devono essere otto medici, sedici infermieri e gli operatori socio sanitari. Se domani mattina  ordino di creare trenta posti letto di terapia intensiva, il povero primario o direttore di dipartimento che ha otto medici per dieci posti letto il giorno dopo dovrebbe averne ventiquattro di medici, provando a essere molto generoso facciano che ne dovrebbe avere almeno sedici”, continua. Più facile a dirsi che a farsi, ovviamente. 

“Ma dove sono? Se li prendiamo da tutte le altre attività le distruggiamo”, conclude con amarezza. Del resto, il tema del personale medico è sempre stato un nervo scoperto del sistema sanitario nostrano. “Il dramma non è quanti posti letto attiveremo, ma se abbiamo o meno il personale per farlo. Abbiamo il personale per aprire questi posti letto? No. Il problema è a monte: non abbiamo pianificato nemmeno le piante organiche idonee a garantire l’ordinario”, argomenta. E apre un vaso di Pandora. “Le piante organiche degli ospedali siciliani sono molto sottodimensionate, ma non lo dico io lo dice Musumeci che mancano 5000 unità tra medici e infermieri”,  dice. Un problema non certo recente. “Lo ha detto ora per giustificare questa situazione, ma noi come sindacato glielo avevamo detto tre anni fa. Un fatto che abbiamo rinfacciato non solo a questo governo ma anche a quelli precedenti. Dalla notte dei tempi, se si considera che sono segretario regionale del Cimo dal 1989”, dice. “Quando abbiamo levato il grido d’allarme ci hanno detto che eravamo dei rompi scatole. Come sempre gestiamo molto bene l’emergenza, ma non la prevenzione e la programmazione. Un problema non solo siciliano ma italiano”, continua. 

Medici in prima linea tra mille difficoltà 

La situazione fotografata da Spampinato è la seguente: un sistema carente che scarica le responsabilità sui medici che ogni giorno lavorano in trincea. “Stanno morendo tanti colleghi, ma alla fine passeremo sempre per quelli che hanno ammazzato qualcuno: siamo l’ultimo anello della catena. Se qualcuno denuncia un medico perché un paziente non è stato ricoverato ed è morto al Pronto Soccorso, il collega paga in prima persona perché il Pronto soccorso non è riuscito a trasferire il paziente in un reparto di terapia intensiva che non c’è”, commenta. Poi accende i riflettori sulle difficoltà che i camici bianchi incontrano quotidianamente sulla loro strada. “Il fatto che non si possa lavorare in queste condizioni è dimostrato da due cose: la velocità con la quale si cerca di andare in pensione e i bandi che vanno deserti”, continua. “Fanno un bando per sessanta posti: nessun medico preso servizio”, racconta. Il perché è presto detto. “Nessuno si presenta per un contratto libero professionale Co.co.co. a tempo. Se il collega si ammala di Covid non è coperto dall’assicurazione, perde il lavoro e anche la libera professione che avrebbe potuto fare fuori perché si deve fermare. Si possano accettare queste condizioni?”.  

Partecipa al dibattito: commenta questo articolo

Segui LiveSicilia sui social


Ricevi le nostre ultime notizie da Google News: clicca su SEGUICI, poi nella nuova schermata clicca sul pulsante con la stella!
SEGUICI