I retroscena dell'inchiesta per truffa che coinvolge l'onorevole Savona

“Se mi fossi ribellato sarei stato licenziato dal gruppo Savona”

Le accuse di uno dei collaboratori del deputato regionale di Forza Italia

PALERMO – Michele Cimino aveva capito che si facevano carte false, ma – così ha raccontato ai pubblici ministeri – tenne la bocca chiusa perché “qualora mi fossi ribellato o rifiutato di fare quello che mi veniva chiesto sarei stato licenziato e non ho mai avuto il coraggio di chiedere informazioni su questo progetto”.

Il progetto fa parte di quelli che la Procura contesta al deputato regionale di Forza Italia, Riccardo Savona, alla moglie dell’onorevole, Maria Cristina Bertazzo, e alla figlia Simona. I pubblici ministeri ne hanno chiesto il rinvio a giudizio.

Del fascicolo fanno parte anche le dichiarazioni di Michele Cimino che con l’associazione Rises, di cui era presidente, ottenne un finanziamento da 226 mila euro per un progetto nell’ambito della formazione professionale denominato “Barocco”.

I verbali sono stati raccolti fra il febbraio 2019 e lo scorso settembre. Per una lunga stagione la Regione ha finanziato centinaia di progetti con milioni di euro messi a disposizione dell’Unione europea. Erano di manica larghissima negli uffici regionali.

Tanti soldi pochissimi controlli, a giudicare dalle parole di Cimino che per un periodo ha pure lavorato nella segreteria politica del deputato di Forza Italia e presidente della Commissione bilancio dell’Ars. Eppure se davvero il “gruppo Savona” (come lo definisce Cimino) ha organizzato una maxi truffa da 900 mila euro con dei corsi fantasma – il rinvio a giudizio non è stato ancora deciso – qualcuno avrebbe potuto accorgersene in tempo e non lo ha fatto.

“Ad un certo punto l’assessorato convocò la Resis per avere informazioni sull’esecuzione del progetto e sulla documentazione che era stata presentata con rendiconto – ha dichiarato Cimino – Simona Savona mi avvertì che sarei dovuto andare a questo incontro ma mi disse che non dovevo preoccuparmi e che la mia presenza sarebbe stata solo formale in quanto presidente Resis. Aggiunse che per i dettagli e per le informazioni da fornire ai funzionari dell’assessorato sarei stato accompagnato da Piscitello Sergio, suo collaboratore”.

Sergio Piscitello, pure lui imputato, era legale rappresentante della coop La Fenice che nulla aveva a che fare con il progetto sul barocco. Non avrebbe avuto titolo per prendere la parola eppure “ci recammo presso l’assessorato e qui dopo essermi presentato di fatto non ho proferito parola lasciando rispondere a Piscitello ai vari quesiti che furono posti”.

Nella sede di via Emerico Amari dove i Savona si riunivano sarebbe stata preparata la documentazione per ottenere i finanziamenti: “Non ho mai avuto il coraggio di chiedere informazioni su questo progetto, anche quando mi presentano dei documenti da firmare di fatto non mi veniva data materialmente la possibilità di leggerli. Mi sono reso conto che moltissimi documenti non sono stati firmati da me, non so chi materialmente le abbia firmati ma sicuramente non io. Alcune lettere di incarico ad enti esterni per il progetto barocco riporta una firma che non è mia”.

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