Blitz 'Pionica', 57 anni di carcere per Cosa nostra trapanese - Live Sicilia

Blitz ‘Pionica’, 57 anni di carcere per Cosa nostra trapanese

L'operazione scattò nel marzo del 2018

MARSALA (TRAPANI) – Oltre 57 anni di carcere sono stati inflitti dal Tribunale di Marsala a sei degli 8 imputati del processo scaturito dall’operazione antimafia “Pionica” del 12 marzo 2018. La pena più severa (19 anni di reclusione più 4 di libertà vigilata dopo la scarcerazione) è stata sentenziata per Salvatore Crimi, 62 anni, presunto capomafia di Vita (Tp).

Le altre condanne e le assoluzioni

Diciotto anni e 4 mesi, in continuazione con una precedente condanna ormai definitiva (14 anni e 4 mesi nell’ambito del processo “Ermes” ai cosiddetti “postini” di Messina Denaro), sono stati inflitti a Michele Gucciardi, 67 anni, presunto capomafia di Salemi. Gli altri imputati condannati sono Gaspare Salvatore Gucciardi, 58 anni, di Vita (10 anni); Ciro Gino Ficarotta, 68 anni, di San Giuseppe Jato (8 anni); Crocetta Anna Maria Asaro, di 49 anni, e Leonardo “Nanà” Crimi, di 26, moglie e figlio di Salvatore Crimi, entrambi a piede libero e accusati di intestazione fittizia di beni, sono stati condannati a un anno e 4 mesi ciascuno con pena sospesa. Sono stati, invece, assolti, Leonardo Ficarotta (figlio di Ciro Gino) e Paolo Vivirito, rispettivamente di 39 e 41, entrambi di San Giuseppe Jato.

Il blitz ‘Pionica’

L’operazione “Pionica” prende il nome da una contrada di Santa Ninfa dove c’è un’azienda di 60 ettari appartenuta a Giuseppa Salvo, di Salemi. Secondo l’accusa, Michele Gucciardi e Melchiorre Leone, 61 anni, agronomo di Vita, già condannato in abbreviato a 9 anni e 4 mesi, avrebbero prima scoraggiato i possibili acquirenti dell’azienda; ma in seguito l’alcamese Roberto Nicastri, fratello del “re dell’eolico”, dopo averla comprata all’asta per 130 mila euro per rivenderla a 530 mila euro alla “Vieffe” dei palermitani Vivirito e Ficarotta, ha preteso per questi ultimi i diritti di reimpianto dei vigneti. I cosiddetti “catastini”, che la Salvo, parte civile nel processo, sostiene che avrebbe potuto vendere e con il ricavato pagare i debiti dell’azienda e mantenere la proprietà dei terreni. Grazie a quei “catastini” la “Vieffe” ottenne due finanziamenti comunitari: uno di 420 mila e l’altro di 120 mila euro.

(ANSA).

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