Le casalinghe di Torretta e il "tredici" dell'eroina - Live Sicilia

Le casalinghe di Torretta e il “tredici” dell’eroina

La storia delle insospettabili corriere degli anni Ottanta.

La Giulietta spider rossa nuova di zecca era ferma al bordo della strada, nella piazza principale del paese, proprio sotto il balcone di zu Tano. Fiammante, con riflessi d’oro come i raggi del sole che la illuminavano. Affacciato da un quarto d’ora, il bracciante osservava con curiosità quella macchina che luccicava ma soprattutto la donna che stava al volante. Gli sembrava conoscente, ma non era sicuro. E siccome smaniava per togliersi dalla testa il dubbio che lo martellava, decise di chiamare la moglie per un veloce consulto familiare. “Cettina, veni cca, curri, veni a taliari”.

La moglie accorse, guardò e aggrottò le sopracciglia. “Ma chidda unn’è a signora Maria?”. “Se, idda è”. “E socch’è sta machina?”. “E chi nni sacciu? Chi fa, ci vaiu a dumannu?’.

Marito e moglie rimasero senza parole a scambiarsi sguardi stupiti. La signora Maria non era proprio il tipo di donna da circolare in spider. Era sulla cinquantina, aveva avuto negli anni passati una Seicento che a un certo momento, vecchia come era, aveva reso l’anima a Dio. Mentre queste riflessioni correvano nelle menti di zu Tano e della consorte, ecco sbucare dal corso una Bmw grigio metallizzato. Anche questa immacolata e scintillante.

L’auto si accodò lentamente alla Giulietta e ne scese un’altra compaesana, la signorina Giusy, una donna di oltre quarant’anni che fino alla settimana precedente avevano visto circolare in 127. Scese dalla spider anche la signora Maria e si misero a confabulare tra di loro sotto gli occhi increduli di Tano e Cettina. “Ma che ci fu? Vuoi vedere che hanno fatto tredici e non l’hanno detto a nessuno?”.

Uno dei figli della coppia, Rosario, un bravo ragazzo di diciotto anni, sentendo parlare i genitori si avvicinò per dare il suo contributo alla discussione: “Ma perché niente avete saputo di Franco Caruso?”.

Caruso era il fontaniere comunale, un poveraccio conosciuto da tutti che campava di stenti. “Si fici i picciuli, si è ristrutturato la casa e l’ha trasformata in una reggia. Si è allargato il bagno, ora sembra un salone, tre volte più grande di com’era prima, pieno di materiali pregiati. Marmi, onice, madreperla. E mastro Vincenzo, manco questo sapete? Si è comprato un trattore nuovo per andare nelle vigne e nelle limonaie. Una cosa mostruosa, sembra un carro armato. Chissà quanto l’ha pagato”. 

È una domenica di mezza primavera del 1987, la Pasqua è alle porte. Quel giorno la gente di Torretta scopre che in paese stanno piovendo soldi a cascate. Molte famiglie sono state colpite da un’improvvisa ventata di benessere ma nessuno sa da dove arriva tanta grazia. O forse si sa e non tutti ne parlano. Torretta è un minuscolo centro sulle montagne di Punta Raisi che conta tremila residenti e altrettanti emigrati in America. Sopravvive di agricoltura, il tenore di vita medio è molto modesto e alcuni anni prima, nel 1979, è stato al centro della cronaca perché qui, nella casa di campagna del costruttore Rosario Spatola, era stato nascosto il finanziere Michele Sindona, e qui il medico Joseph Miceli Crimi, stimato professionista iscritto alla P2, gli aveva praticato l’anestesia prima di sparargli un colpo di rivoltella a una gamba per simulare una ferita durante il finto rapimento rivendicato da un inesistente gruppo di giustizia proletaria.

Ma ora c’è questa storia dei milioni che gonfiano tante tasche e cambiano dall’oggi al domani la condizione di diverse famiglie.

La ricchezza attraversa il paese, la voce corre di bocca in bocca e finisce fatalmente alle orecchie dei carabinieri, che cominciano a farsi qualche domanda. Non sanno, i militari, che all’aeroporto di Punta Raisi proprio l’idraulico comunale Franco Caruso pochi giorni prima era partito per New York portandosi dietro tre chili di eroina nascosti in sacchetti di plastica attaccati con lo scotch attorno all’addome. E che un altro torrettese quel giorno era partito sullo stesso aereo con un biglietto comprato nella stessa agenzia di viaggi a Palermo. Anche lui aveva addosso tre chili di droga. Quei sei chili di polvere bianca sul mercato americano valevano un milione di dollari.

Caruso riesce a superare i controlli, il compaesano no. Lo bloccano all’aeroporto JFK. Nasce così l’inchiesta Iron-Tower, condotta a Palermo da Giovanni Falcone e Ignazio De Francisci. Notizie e indagini si incrociano tra Sicilia e Stati Uniti. Scende in campo l’Fbi. Torretta finisce sotto osservazione. Si mobilitano anche gli specialisti della Criminalpol. Scattano una serie di controlli telefonici, si passano ai raggi x gli elenchi dei passeggeri dei voli internazionali e si scopre che decine e decine di casalinghe di Torretta andavano e tornavano da New York con una frequenza insolita e assai sospetta. In un anno la polizia registra più di quarantamila telefonate e mille voci. Spesso sono monosillabi, silenzi, sospiri.

Telefonata 1: “Chi è?”. “Sono io”. “Io chi?”. “Io”. “Ah, stai bene?” Sì, volevo a Totò per dirgli che è tutto bene. Diglielo a Totò, mi raccomando”. Telefonata 2: “Bene arrivati”. “Sì”. “Sei Anna?”. “Anna sono”. “Ma che fa, dormivi?”. “Si, sono le 4 di mattina”. Telefonata 3: “Devi dire a Salvatore che mi chiami al numero che sa tra un’ora esatta. Ricordati bene, un’ora esatta”.

Una giovane ispettrice si trasferisce a Torretta e conduce un’indagine solitaria con un binocolo a raggi infrarossi. Esamina una montagna di dati catastali, testamenti, passaggi di proprietà. Nel suo rapporto scrive che il quaranta per cento delle famiglie di Torretta ha fatto almeno un viaggio a New York portando eroina ai referenti americani. Sono centinaia di corrieri, uomini e donne. La maggior parte resterà senza nome e impunita.

Il braccio operativo di quel traffico è Franco Caruso, l’idraulico, ma dietro, a muovere i fili, c’è la mafia. La mafia importante di Palermo e di New York, la mafia dei Gambino e degli Inzerillo che ha avuto la fantasiosa idea di utilizzare le donne di Torretta perché tutti in paese hanno parenti in America e una casalinga con la valigia in aeroporto difficilmente può destare sospetti.

Funzionava così. Intanto c’era da capire chi ci stava. E con la fame di quegli anni si era capito subito che il reclutamento non sarebbe stato era un problema. Individuate le pedine, si fissava la data del viaggio. La sera prima della partenza, le donne venivano mandate a dormire in un albergo vicino a Punta Raisi, dove indossavano le panciere piene di eroina spruzzate con profumo Trussardi per sviare il fiuto dei cani. Capitava anche che qualcuna si innamorasse dell’incaricato della vestizione e finisse per dividere con lui il letto e la notte. Ma questo è un dettaglio del tutto marginale.
Al mattino, finalmente, le donne-corriere andavano in aeroporto e si imbarcavano allegramente, come niente fosse, salutate dal solito sciame di parenti. Ogni viaggio era compensato con trenta-quaranta milioni di lire più una settimana di soggiorno all’Hilton o allo Sheraton, tutto spesato. Se poi le corriere erano in grado di tornare con il corrispettivo in dollari, la “paga” saliva a settantacinque milioni pronta cassa.

Per due anni va tutto liscio. Ma durante le indagini accade l’imprevisto: tra Torretta e New York precipita “il calderone del diavolo”, come viene chiamato nel gergo della polizia. Caruso è trovato morto al volante di una Cadillac in una stradella del Queens. Colpi di pistola dappertutto. Indossava un abito da sera e il papillon. Era carico d’oro. Orologio, anelli, bracciale, collana. Peso complessivo, quasi mezzo chilo. Due giorni dopo a Brooklyn uccidono un amico di Caruso, spaccato in due da un’accetta.

È arrivato il momento di agire. Torretta viene presa d’assedio, un centinaio di agenti perquisisce a tappeto case e villette. Trovano le panciere. Scattano gli arresti. Dieci casalinghe dell’eroina sono costrette a confessare. Qualcuna tenta l’impossibile affermando di ignorare che fosse una cosa proibita. Vincenza Cali cade dalle nuvole, giura che quella polverina le sembrava borotalco, poi si arrende e alla giornalista Marina Pino, che la intervista durante la detenzione domiciliare, racconta un dettaglio raccapricciante: una di loro era tornata in Sicilia con cinquecentomila dollari in banconote da cento ma gliele avevano legate al corpo con scotch da imballaggio così stretto che per recuperare i soldi era stata quasi scorticata viva.

Si ricostruiscono diversi retroscena. Le donne tornavano dall’America e spendevano senza freni. E parlavano, parlavano. Mezzo paese sapeva e sotto casa di Caruso c’era la fila anche di notte. Alcune gli andavano a suonare il campanello: “Franco, e a me niente?”, “Franco, a me un viaggetto non me lo fai fare?”.  I soldi volavano. Chi comprava la macchina, chi la cucina componibile, chi il terreno per costruirsi un appartamento nuovo.

Alla fine si accerta che dal 1985 al 1987 le casalinghe di Torretta sono riuscite a portare oltre l’Atlantico due tonnellate di eroina e a riportare indietro decine di miliardi di lire. Ma non sono dieci. Sono molte di più.

Torretta finisce sulle prime pagine. Il Giornale di Sicilia lo definisce paese ad alta densità mafiosa. L’immagine è distrutta. E allora il consiglio comunale si riunisce d’urgenza con un solo punto all’ordine del giorno: la difesa del buon nome di Torretta. All’unanimità l’assemblea approva la proposta del professore Ugo Merendino di consegnare un attestato di benemerenza a due illustri emigrati di Torretta, il dottor Benedetto Caruso, medico negli Usa, “che ha dimostrato benevolenza e ospitalità verso i nostri concittadini colà emigrati”, e il signor Antonio Gambino, “barbiere che nel ‘48 quasi fuggendo dal nostro abitato, solo e famelico allorquando i suoi pochi servizi gli venivano spesso pagati in ritardo e qualche volta in natura (olio, formaggio o grano), con tenacia sapeva inserirsi nella società svizzera divenendo per educazione civile, arte e onestà uno dei migliori parrucchieri che attualmente annovera Lugano, ove è stato eletto anche presidente della lavoratori della sua categoria che conta cinquemila iscritti”.

L’indagine si estende ai paesi vicini: Cinisi, Villagrazia di Carini, Capaci, ma non si trovano riscontri. Il grosso dell’inchiesta si sviluppa a New York dove Falcone, De Francisci e Rudolph Giuliani prendono di mira le famiglie italoamericane che hanno le loro basi operative nelle pizzerie e nei ristoranti della metropoli. Firmano trentasette ordini di cattura e trentanove avvisi di garanzia. Sotto scacco ci sono gli uomini di clan storici: i Bonanno, i Gambino, gli Inzerillo, seguiti passo passo per due anni da agenti federali infiltrati. Ci sono anche i vecchi boss di Torretta Tony Zito, Giuseppe Enea, Ignazio Mannino. Decine e decine di registrazioni e filmati inchiodano tutti. Stavolta la festa è davvero finita. 

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