Pizzo ai proprietari de "La Braciera": il boss condannato a 7 anni

Pizzo ai proprietari de “La Braciera”: il boss condannato a 7 anni

Un'estorsione durata 21 anni, poi il coraggio della denuncia

PALERMO – La quarta sezione del tribunale di Palermo ha condannato il boss di Resuttana Giovanni Niosi a 7 anni di carcere.- Era imputato per l’estorsione alla pizzeria La Braciera.

Il collegio presieduto da Bruno Fasciana ha anche riqualificato l’accusa nei confronti dell’altro imputato, Antonino Cumbo, da estorsione consumata a tentata, e lo ha condannato a 5 anni.

I reati sono contestati con l’aggravante di mafia. Quella dei proprietari, i fratelli Roberto e Antonio Cottone, è stata un’estorsione subita per decenni. Infine la scelta di denunciare per liberarsi dal gioco di Cosa Nostra.

I giudici (del collegio fanno parte anche Riccardo Corleo e Sergio Ziino) hanno accolto le tesi del pubblico ministero Amelia Luise. Il processo era la parte in ordinario del blitz Talea di 3 anni fa che ha dato vita a un altro processo.

In sentenza il Tribunale ha riconosciuto un risarcimento maggiore ad Addiopizzo rispetto alle altre associazioni costituite parte civile, probabilmente alla luce dell’assistenza fornita nel corso delle indagini e nel processo alle vittime di estorsione.

Un anno e mezzo di incontri, paure, silenzi, incertezze, solitudini, ansie e preoccupazioni prima che tutto sfociasse in un racconto di anni di estorsione e in pagine di verbali di denuncia. Un racconto che è poi confluito nell’operazione che nel 2018 aveva ancora una volta colpito esponenti del mandamento Resuttana San Lorenzo, accusati di estorsione ai danni di commercianti e imprenditori.

Non siamo eroi, vogliamo lavorare. Mi dispiace che alcuni magari cerchino di cavalcare mediaticamente la loro ribellione al racket, in certi casi pensando di risollevare attività che in realtà sono solo mal gestite. Non ci siamo mai sentiti soli grazie al sostegno di Addiopizzo, delle forze dell’ordine e della magistratura.”

Con queste considerazioni Antonio, titolare della pizzeria insieme ai fratelli Roberto e Marcello, aveva commentato il percorso di questi anni.

“La sentenza di oggi  ci racconta anche questa volta come ormai esista la concreta possibilità di denunciare – spiegano da Addiopizzo -. Tuttavia va sottolineato che a una sempre più incisiva e costante azione repressiva portata avanti da magistrati e forze dell’ordine, non seguono vigorose politiche sociali e sul lavoro, fondamentali per superare fenomeni criminali e mafiosi. Viviamo, purtroppo, in un contesto dove diritti essenziali come quelli alla casa e al lavoro sono ancora un miraggio per molti, costretti a vivere in condizioni di degrado e povertà diffuse. Per questa ragione da diversi anni, pur non allentando il gravoso impegno di aiutare chi si oppone alle estorsioni – concludono dal comitato –  cerchiamo di fare la nostra parte nel quartiere Kalsa di Palermo dove siamo impegnati in interventi di inclusione sociale abitativa, educativa e lavorativa nei confronti di chi vive situazioni molto difficili: figli di chi non ha un lavoro, una casa e a volte anche da mangiare. Figli di questa città che hanno diritto ad avere diritti e che senza opportunità e alternative rischiano di diventare la nuova manovalanza criminale del futuro”.


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