Il metodo di lavoro è l'eredità che Falcone ci ha lasciato - Live Sicilia

Il metodo di lavoro è l’eredità che Falcone ci ha lasciato

Commemorazione all'aula bunker di Palermo. LA DIRETTA

PALERMO – Di Giovanni Falcone, 29 anni dopo il suo assassinio, resta il modello di lavoro. Un modello in cui l’unica bussola era la ricerca della prova granitica senza la quale i processi diventano castelli accusatori destinati a crollare.


Nell’aula bunker del carcere Ucciardone di Palermo, dove fu celebrato il maxiprocesso alla mafia, si ricordano le vittime dell’eccidio di Capaci: Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Vito Schifani, Rocco Di Cillo, Antonio Montinaro.
Oltre alla memoria è il metodo Falcone che va tenuto vivo per non rendere vano il sacrificio umano.
Lo dice innanzitutto Maria Falcone, sorella del magistrato e presidente della fondazione che ne porta il nome.


“La lotta alla mafia deve essere una priorità dell’agenda politica – dice – oggi che i fondi che stanno per arrivare sono un’occasione epocale per il nostro Sud, ma rappresentano anche un’occasione nuova di arricchimento per le mafie”.

Il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese sottolinea la grande capacità che ebbe Falcone di creare una rete tra le istituzioni, anche a livello internazionale. Il suo metodo di lavoro è un’eredità da non disperdere in un momento storico, come quello che stiamo vivendo, segnato dalla pandemia Covid, in cui le mafie “si sono inserite anche nel settore sanitario”.

Di fronte a negozianti, commercianti, imprenditori piccoli e grandi che soffrono per una crisi economica senza precedenti, i mafiosi “offrono un welfare alternativo”. Ecco perché si è deciso di “dare nell’immediatezza risorse necessarie pur mantenendo i controlli”.


Ad insistere sul modello di lavoro seguito Falcone è il ministro della giustizia Marta Cartabia, la quale ricorda che già dalla tesi di laurea, in diritto amministrativo, il giudice mostrò il suo interesse per “la fase istruttoria alla ricerca delle prove granitiche senza cui non si può portare a giudizio”. Il magistrato deve essere una “sentinella del diritto”, un cane da guardia come testimoniano le statue piazzare sui banchi dell’aula. Serve rigore per accertare la verità.

Il guardasigilli infine ricorda l’importanza dell’ aggressione ai patrimoni accumulati illecitamente, di cui Falcone capì l’importanza, che impone di guardare oltre il territorio nazionale.

Il ministro dell’istruzione Patrizio Bianchi srotola in aula uno striscione preparato dai ragazzi di una scuola romana.

Sono i ragazzi i veri protagonisti della manifestazione, sono loro le gambe su cui continuano a camminare le idee di Giovanni Falcone. “Avamposto della legalità”, li definisce il ministro. Che aggiunge: “Legalità è diritto di vivere una vita felice insieme. Tutti i ragazzi di Italia oggi sono idealmente qui. Torneremo l’anno prossimo e speriamo che le banchine del porto siano piene di ragazzi”. Infine un ricordo commosso di Vincenzo Mineo, recentemente scomparso per un malore improvviso, che dall’aula bunker è stato il direttore durante gli anni del maxiprocesso.


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