Ma quali maggioranze Ursula, rimescolamenti da effetto Draghi, moderati e riformisti insieme, cantieri liberali e centristi d’Egitto. Forza Italia ai suoi piani più alti – cioè a casa di Silvio Berlusconi perché così da sempre s’usa da quelle parti – avrebbe già deciso il suo futuro. Un Pdl bis ma stavolta non fondendosi con una destra che faticosamente per un decennio aveva lavorato a un percorso di evoluzione e avvicinamento a posizioni conservatrici europee, come era la An di Fini, ma con il sovranismo populista di Matteo Salvini e della sua Lega, che in Europa sta con Marine Le Pen e con i suoi omologhi. Un’operazione, quella della “federazione” di centrodestra lanciata dal Cav e da Matteo, apprezzata pare dai piccoli cespugli centristi e mal digerita dai liberali di Forza Italia, quelli che sognavano dopo Draghi un percorso di affrancamento dal sovranismo salviniano.
La federazione di centrodestra nasce dalla somma di un paio di esigenze personali. C’è quella di Salvini, che teme la costante crescita di Meloni: Fratelli d’Itaia ha un trend molto chiaro nei sondaggi, che porterà quasi inesorabilmente a un sorpasso di Giorgia su Matteo da qui al voto rischiando così di compromettere le speranze del leader del Carroccio di passare dal Papeete a Palazzo Chigi. Meloni ha annusato la trappola e ha già detto no, grazie alla federazione, dicendosi contraria alle fusioni a freddo. Giorgia si tiene strettala sua comodissima opposizione solitaria a Draghi che la fa salire ancora nei sondaggi. Salvini ha bisogno allora di qualcosa di più “grande” che ne legittimi la leadership della coalizione di domani. Berlusconi, dal canto suo, secondo i retroscenisti nazionali non ha mai perso la speranza di ascendere al Quirinale e vedrebbe nell’operazione un passaggio utile in quella prospettiva.
Quel che è certo, è che se mai la federazione annunciata tra Lega e Forza Italia più partitini di centro nascerà, la Sicilia sarà coinvolta da questo evento. I volenterosi costruttori del cantiere moderato e centrista ad esempio si ritroverebbero nello stesso partito dei sovranisti amici di Le Pen (si sa che un piano di quel tipo vorrebbe portare la Lega dentro il Ppe ma tra il dire e il fare, per quanto i Popolari europei negli ultimi abbiano aperto le porte a chiunque, Orban incluso, c’è di mezzo il mare). Il liberale Micciché si ritroverebbe punto di riferimento regionale di un soggetto politico guidato a livello nazionale da Salvini, e nessuno può aver dimenticato gli epiteti riservati a quest’ultimo dal presidente dell’Ars ai tempi del primo governo Conte. I renziani di Italia viva, impegnati con gli altri centristi alla creazione di una lista per le regionali si ritroverebbero insieme a chi farà parte di un nuovo soggetto politico nazionale con la Lega per locomotiva, chissà come potrebbe infiocchettarla a quel punto sui social Davide Faraone.
Ma i giochi sono davvero fatti? In realtà, sulla stampa nazionale emerge in qualche ricostruzione tutta la freddezza con cui certi ambienti di Forza Italia stanno vivendo l’eventuale prospettiva. E allora bisogna tenere in conto altri possibili scenari. E se invece in vista delle regionali, un passaggio simile che scaverebbe un solco più profondo tra Salvini e Berlusconi da una parte e Meloni dall’altra, avesse ripercussioni sull’unità del centrodestra? E se un guizzo di sorprendente coraggio spingesse a quel punto i liberali e moderati di Forza Italia che non vogliono morire paraleghisti a uno strappo?
È chiaro che le incognite che la federazione di centrodestra apre sono davvero tante. Ma se il percorso immaginato da Salvini e Berlusconi dovesse procedere senza scissioni, i sogni di Pd e Movimento 5 Stelle di costruire in Sicilia un dialogo e una alleanza con i “moderati” – vedi gli appelli di Barbagallo e Cancelleri – sarebbero condannati a restare appunto sogni.