"Io, sacerdote nel carcere di Favignana" - Live Sicilia

“Io, sacerdote nel carcere di Favignana”

Parla il cappellano
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“Un inferno? Non so, dal punto di vista della struttura, certo, le perplessità non mancano”.

Don Stefano Vesentini, veneto, quarant’anni, è cappellano del carcere di Favignana da un anno e mezzo. E’ un valoroso religioso veneto dell’ordine dei Canossiani. Sull’isola si occupa di pastorale giovanile e delle anime che finiscono dietro le sbarre. Il sacerdote di una prigione con le celle a un passo dall’acqua di mare non può occuparsi soltanto di anime immortali e di Ave Maria. Nel suo mandato ci sono anche i corpi. I corpi che urlano, bestemmiano e si dimenano in un cimitero isolato da sepolti vivi. E’ stato l’ufficio del garante per i diritti dei detenuti a inserire Favignana nel circuito degli istituti “carogna”, da chiudere immediatamente. Si parla di corridoi all’aperto che accolgono uomini nudi in attesa della doccia, col caldo e col freddo. Claudio, un ex ospite 35 enne, ha raccontato in una lettera gli orrori della prigione. Un luogo che sembra costruito apposta per spingere alla disperazione. E, come accade in ogni inferno, il cartello che invita a lasciare la speranza, come un cappotto all’ingresso, è la prima cosa che si intuisce. Anche se non si vede.

Padre Stefano, ci parli dell’inferno di Favignana.

“La struttura è quella che è. Inutile negarlo, lascia perplessi. E’ vecchia ed è impossibile stare bene lì sotto”.

E poi?

“Però la gestione dei rapporti è corretta. Mi pare il vero elemento di recupero della situazione. In un anno e mezzo ho registrato in clima di attenzione e di accompagnamento che, magari, in altri posti non c’è”.

Ci descriva le condizioni degli ospiti.

“Su circa novanta detenuti, cinquanta sono stranieri. La maggior parte degli stranieri è lì per spaccio. Non mancano i reati gravi, come l’omicidio”.

E lei che fa?

“Io devo dimenticare che parlo con persone che hanno commesso reati. Ascolto. Si crea una buona affinità umana”.

Cosa le dicono?

“Esprimono bisogni elementari, la telefonata, i rapporti familiari. Ci sono i momenti di crisi…”.

Quando capitano?

“Soprattutto quando arriva la sentenza”.

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