La buona politica e il difficile slalom tra pregiudizi e ipocrisia

La buona politica e il difficile slalom tra pregiudizi e strumentalizzazioni

Quando il "cambiamento" diventa un mantra senza contenuto

Hai sempre pensato che essere buoni cittadini è contribuire in modo attivo alla costruzione di una società migliore; è porre in essere azioni che vanno a beneficio degli altri e sostengono la vivibilità della tua comunità; è esercitare con consapevolezza i propri diritti, adempiere ai doveri, assumersi le responsabilità. 

Hai sempre considerato che l’appartenenza alla società non sia un mezzo per ottenere qualcosa, ma un fine in sé che dà senso a tutto il resto, e che ci si può muovere lungo un percorso armonico solo con la collaborazione di ciascuno, secondo le proprie attitudini, secondo le proprie possibilità e competenze.

Infine, hai sempre ritenuto che una comunità sana è quella in cui si esercita in maniera coerente la politica. 

La buona politica è…

La politica per te era (è) un po’ come quel giudice democratico di Brecht che, per non escludere il debole, adegua la sua domanda all’unica risposta conosciuta da colui che ha bisogno. La politica è mediazione, negoziazione, compromesso; fa sintesi dei bisogni della collettività e concorre a determinare le scelte collettive, in un’ottica di mutualità con le Istituzioni. 

Ciononostante i cittadini sono sempre meno interessati alle vicende politiche; le loro opinioni sembrano perdere di importanza dinanzi agli interessi di coloro che li governano, spesso orientati a beneficiare solo del loro appoggio elettorale.

E così ci si rintana nel privato e si rifugge dalla politica. Che non è più considerata come la soluzione ai problemi, perché appare lontana, disincantata. Talvolta arrogante, instabile, preda di demagoghi. 

Il dovere di mettersi in gioco

Ti ostini a pensare che probabilmente essa viene cercata “nei luoghi sbagliati, nei concetti sbagliati, nelle pagine sbagliate dei quotidiani”, come ammoniva Ulrich Beck, il sociologo tedesco. Ma rimani convinta che “ tutta la vita è politica” come scriveva il grande Cesare Pavese.

Ed allora, per quello che puoi, cerchi di esserci nella politica. Chi ha la possibilità di farlo, deve mettersi in gioco, ha il dovere di non chiamarsi fuori. Deve contribuire alla buona politica.

La buona politica si ritrova in coloro che partecipano al percorso di costruzione del benessere comune, anche se del caso manifestando il proprio dissenso, a condizione che lo stesso sia costruttivo e senza pregiudizi e strumentalizzazioni.

La buona politica si ritrova in coloro che agiscono anche per chi non può, per gli invisibili e per gli inascoltati; in coloro che si “sporcano le mani per non sporcarsi il cuore”.

“Lunga è la strada che passa per le regole, breve ed efficace è quella attraverso gli esempi”, ammoniva Seneca nelle Lettere a Lucilio. E allora decidi di scommetterti, di entrarci dentro, nella politica. 

E però accade che quasi perdi la tua soggettività, la tua dimensione personale, di donna, di cittadina. Ancora prima di chi sei, dei tuoi valori, del tuo vissuto, dei tuoi progetti, delle tue tensioni, rileva chi sia il tuo coniuge. Per carità, ci sta. Più appetibile, fa più notizia.

Il mantello dell’ipocrisia

Ti ritrovi anche ad osservare. Osservi i pregiudizi e le strumentalizzazioni. Le piccole logiche personali ammantate da alte finalità pubbliche. E soprattutto conosci l’ipocrisia. Si indica la luna ma più prosaicamente si guarda al dito. Assisti di persona al grosso divario tra le parole che vengono spese e la reale volontà di cambiare.

Il cambiamento è la parola chiave ma poi registri chiusure, lo stallo. E il cambiamento diventa un mantra privo di contenuto. Se vuoi cambiare la società devi essere innanzitutto disposta ad ammettere che il cambiamento interpella anche te, oltre che gli altri. 

Assisti al giustizialismo che trasmuta in fondamentalismo; e devi difendere le tue idee, le tue scelte dall’integralismo per non rimanere schiacciata dal pensiero unico dominante. Anche così si uccide lentamente la democrazia. A piccoli passi.

Eppure, hai ancora fiducia nella politica, “nell’arte del possibile”, in quelli che ancora agiscono per portare avanti un progetto comune; in chi in prima persona si spende per costruire valori di apertura, di tolleranza e di pace. 

In chi, con San Francesco, crede che bisogna cominciare “col fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile” per sorprenderci “a fare l’impossibile”. E ti auguri davvero che chi andrà in Europa lo faccia con la consapevolezza di poter essere artefice di un cambiamento possibile. 


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