Sembra tutto proiettato a quando la Festa di Sant’Agata tornerà ad essere nuovamente realtà. Una realtà fatta di preghiera, processioni, colori, sapori e polemiche. Tutti devoti tutti. Sant’Agata a Catania la festa più grande d’Italia è un libro che può servire a rendere meno grigia un attesa che, a causa del Covid, sembra dilatarsi a data destinarsi. Pazienza, ci vuole ancora pazienza. Francesco Marano, che è stato il primo presidente del Comitato degli festeggiamenti secondo il nuovo corso, quelle che vede seduti allo stesso tavolo membri graditi sia all’Arcidiocesi che a Palazzo degli Elefanti, ha messo nero su bianco le sue esperienze, emozioni e qualche testimonianza rimasta finora inedita.
Lunedì prossimo, all’interno del Museo Diocesano, ci sarà la presentazione ufficiale del libro edito da Bonanno editore con prefazione di Rosario Fiorello. A moderare i lavori ci sarà Antonello Piraneo, direttore La Sicilia. Tra gli ospiti le più alte autorità civili e religiose di Catania. (Come è giusto che sia).
Ma di che parla il libro? E sopratutto: perché un nuovo saggio su di una Festa che teoricamente dovrebbe rimanere sempre uguale a stessa? Chi vi scrive ha seguito parte di quelle fasi e può testimoniare come Francesco Marano, intervistato più volte dal nostro giornale, si sia davvero innamorato della macchina agatina. È un dettaglio che va subito sottolineato. Perché lui, prima di quell’incarico non richiesto, faceva parte di quella Catania che preferiva guardare la Festa a distanza. Poi però qualcosa è mutato. Sul piano sentimentale sicuramente. E non solo.
Il dettaglio da sapere è che Marano si è trovato, quasi per caso, ad assumere la guida di un organo che – seppur in una modalità assai meno articolata – era stato guidato per lunghissimo temo con altrettanta passione e competenza dal compianto Luigi Maina. Un confronto non da poco che però non va neanche dato. Appunto perché abbiamo a che fare con due epoche profondamente differenti. E due feste guidate da logiche e criteri totalmente antitetici, soprattutto sul versante organizzativo.
I due processi – quello sulla morte del devoto Calì e quello sulle presunte infiltrazioni mafiose nella Festa – sono arrivati come uno schiaffo sulla città di Catania. All’indomani delle sentenze (e al di là dell’esito) nulla poteva rimanere come prima. L’Arcidiocesi e il Comune hanno dovuto ripensare tantissimo della macchina agatina, pur mantenendo intatta la carrozzeria di un evento allo stesso tempo religioso e fortemente identitario.
Marano, braccio destro dell’allora sindaco Enzo Bianco, aveva partecipato a quei tavoli di lavoro, ma con ben altra funzione: quella di mediatore. Arrivati al nodo presidenziale, il suo nome arrivò come una paradossale sorpresa-spontanea, perché era colui che più di altri aveva compreso quale fosse l’obbiettivo da raggiungere e gli equilibri da soppesare.
La storia di quei giorni ci dice che il suo nome, ritenuto fin troppo politicizzato per la militanza tra i liberal del Pd, fu oggetto di polemica. Una polemica probabilmente inevitabile. (Un capitolo del libro è dedicato proprio alla politica). Poi però arrivò l’equilibrio dei fatti e la pubblicazione di un vasto pacchetto di regolamenti che ha messo in luce tanti di quegli aspetti di una manifestazione carica di complessità che negli anni aveva provocato drammatiche ambiguità.
È stato ripetuto più volte che la Festa sia la migliore metafora di una città allo stesso tempo generosa e sguaiata. Chiamiamolo pure “il raffinato estremismo della città”. Marano aggiunge, con queste pagine, la sua visuale al racconto di Catania. Un racconto che passa da Agata e che tocca anche altri momenti, come le visita delle First Lady a Catania durante il G7 di Taormina. Ma non è lì il punto. Marano racconta la sua idea di Festa e la proietta verso il futuro. Un’immagine che lui stesso definisce un sogno. Un sogno di grandezza. C’è da chiedersi però se quella visione piacerà esattamente a tutti. Intanto però c’è da uscire dal Covid e tornare a veder la Festa.