CATANIA – I numeri non saranno quelli del 4, del 5 e neanche del 6 febbraio. Sant’Agata d’agosto vive però di suggestioni tutte sue che sono nel cuore dei catanesi. Le quali, quest’anno, verranno amplificate dall’assenza inedita dell’arcivescovo, monsignor Luigi Renna, costretto al riposo dopo l’intervento d’urgenza che ha neutralizzato l’infarto che lo ha interessato nelle scorse settimane.
Non chiamatela però “festa in piccolo” o in un altro modo che possa sortire un parallelo con i ben più noti festeggiamenti invernali. Si tratta di una ricorrenza antica, da leggere totalmente nello speciale rapporto tra i catanesi e Agata. Con una tradizione ben precisa da rispettare.
Gisliberto e Goselmo
Quest’anno si fa memoria dell’898esimo anniversario della traslazione delle reliquie di sant’Agata da Costantinopoli a Catania. Era il 17 agosto del 1126 quando, secondo la leggenda, due ex soldati dell’esercito bizantino, il francese Gisliberto e il puglise Goselmo, riportarono in patria i resti mortali della martire etnea.
Appena 86 anni prima, a margine della campagna militare di liberazione dalla presenza araba in Sicilia, il generale Giorgio Maniace aveva trafugato le reliquie e le aveva portate nella capitale dell’Impero romano d’Oriente, assieme a quelle di santa Lucia, la patrona della città di Siracusa.
Quella dei due militi fu una missione rocambolesca, quasi da film d’azione (ma nessuno finora lo ha realizzato). Le tracce di una vicenda storica mista a leggenda sono a Gallipoli: una delle due mammelle è infatti tuttora conservata nella Cattedrale della città pugliese, come dono di Goselmo.
La leggenda dell’abito bianco
Il racconto della tradizione vuole che, al rientro delle reliquie, la città di Catania fu svegliata nella notte dal suono delle campane e che i cittadini scesero in piazza in massa, ma vestiti con gli abiti da sonno, per accogliere il ritorno della patrona. Un dettaglio che, secondo una certa tradizione, spiegherebbe l’uso del sacco bianco durante i giorni agatini.
Ma si tratta appunto di una leggenda, perché altre fonti riferiscono che, fino a non troppi secoli fa, i devoti agatini andassero nudi in processione e che, solo successivamente, avrebbero cominciato a indossare una veste tutt’altro che notturna, ma penitenziale.
Secondo una interpretazione storico-teologica, il cappello nero (la scurzitta) rappresenterebbe non tanto la sabbia lavica (sic!) o qualcosa di simile, ma la cenere – come da tradizione biblica – da spargere sul capo quale simbolo di pentimento ed espiazione dei peccati.
La festa degli emigrati catanesi
La disputa tra gli storici la lasciamo, appunto, agli storici. E puntiamo al presente. Perché c’è un dettaglio che da anni segna la ricorrenza di agosto: quella del 17 è la festa che rinsalda i legami tra la città e i tanti catanesi emigrati da altre parti, che sfruttano le vacanze estive per far ritorno in patria.
Un fenomeno, del resto, che accomuna buona parte delle altre feste del territorio siciliano. E che purtroppo non è destinato a esaurirsi nel breve periodo.