Se fossimo nei panni di un medico, di un infermiere, di un oss, della preziosa figura che pulisce per terra, di chiunque, in questo momento, lavori in un ospedale… anche noi saremmo molto arrabbiati. Mettiamoci, dunque, in quegli scomodi abiti e proviamo a riflettere. Sei un siciliano con il camice alle prese con la pandemia in un reparto ospedaliero. Hai visto morire un sacco di gente e non ti sei mai abituato – come avresti potuto? – a quegli addii solitari. Sei stato insultato dai no vax – anche qualche paziente – che, nella loro ossessione ti hanno scambiato per un emissario di forze occulte, invece sei un arcangelo della terapia. Da mesi non vedi la luce del sole. Vai in corsia, torni a casa. Ma perfino quando torni a casa, controlli, rivedi i numeri, resti in contatto. Come si stacca da una guerra mondiale sia pure di diversa specie? Sei stanco, resisti con il fiato tra i denti e hai paura, perché lavori in un posto ad altissimo rischio.
Arriva Natale. Non è il Natale della liberazione che avevamo sognato, ma siamo qui e stiamo meglio. C’è una nuova variante in parte decifrata e in parte ancora no. Tu indossi quel camice con un filo di speranza. Magari pensi: avranno imparato, tutti, stavolta saranno prudenti, lo sanno che il Covid è una brutta bestia e che, pure se sei vaccinato, devi usare la testa per stroncare la circolazione del virus ed evitare non impossibili guai. E invece no. Ovunque ti giri, tra social e realtà, scorgi sconfinate distese di bicchieranti senza mascherina, impegnati a giocare a tombola. Assembramenti che pare la sagra del mancato distanziamento. Nel frattempo, i ricoveri salgono. Più lavoro, più stress e l’impossibilità di pensare con leggerezza. Il prezzo dell’incauto divertimento di troppi è la condanna dei soliti ignoti.
Omicron, anche se i casi sembrano meno gravi, come ha ricordato la dottoressa Tiziana Maniscalchi, riempie i posti letto. La minore forza, se il dato verrà confermato, è una buona notizia, non lo è l’estrema contagiosità. Che ha delle ricadute sull’intero sistema: sui pazienti di altre patologie che ricevono, fatalmente, meno servizi e per quelli che reggono il peso. Significa, come spiegano brutalmente pure gli ultimi dati, un calvario che non finisce più. I numeri, in Sicilia, sono impressionanti.
E allora facciamolo lo sforzo di indossare panni e sentimenti degli ‘eroi della sanità’, così si diceva. Di quelli che raccontano a chi racconta per mestiere lo scoraggiamento e un giustamente adirato non poterne più. Quelli che vivono in miniera. Che osservano la strafottenza di molti e ne pagano le conseguenze. Che, dopo un turno massacrante, prendono lo smartphone e gli viene addosso una folla di festeggianti, ‘uso stadio’. Siamo onesti, per piacere. Non c’è da essere arrabbiati, almeno un po’?