Arrestato il tributarista palermitano Gianni Lapis (nella foto durante l’intervista rilasciata a Servizio pubblico). Secondo la Procura di Palermo e la Guardia di finanza, il professionista sarebbe diventato il punto di riferimento di una rete di riciclaggio di soldi sporchi. Lapis è stato arrestato questa mattina dai militari del nucleo speciale di polizia valutaria: il procuratore aggiunto Antonio Ingroia e i sostituti Lia Sava e Dario Scaletta gli contestano l’accusa di associazione a delinquere finalizzata al riciclaggio.
Un affare internazionale con mille misteri da chiarire. Si parte da una certezza: gli indagati non hanno redditi da giustificare la montagna di soldi che volevano riciclare. Sessanta milioni di dollari. Sono parte del tesoro di don Vito Ciancimino? Non c’è ancora risposta all’interrogativo principale. Questi i fatti. Il gruppo composto da Gianni Lapis, Francesco Terranova, Gianni Lizza, Salvatore Amormino e Nino Zangari ha a disposizione circa 60 milioni di dollari americani in contanti. Probabilmente custoditi in una cassetta di sicurezza di una banca di Roma. In realtà i soldi sono di un tale Mario non ancora identificato. L’obiettivo è cambiarli in euro di pari controvalore ridotto, però, del 15-20% della quotazione ufficiale. L’occasione si presenta con un gruppo che entra in contatto con loro. E’ una trappola. A condurre la trattativa sono un ausiliario di polizia giudiziaria e un finanziere della Valutaria infiltrati.
Ad ottobre scorso i due gruppi si incontrano nella Capitale. Amormino tratta per conto di mister x Mario. Il 19 ottobre in Piazza Mazzini ci sono Lapis, Zangari, Amormino, Lizza e gli infiltrati e l’ausiliario di p.g., unitamente all’agente sotto copertura. Durante l’incontro il Lizza sostanzialmente conferma di avere la disponibilità, in un istituto di credito controllato da un direttore connivente, di 60 milioni di dollari e stabilisce le fasi dell’affare. Lizza pretende che la prima tranche dell’operazione avvenga con il controllo e lo scambio di un piccolo quantitativo di banconote, circa 500.000. Alla fine si accordano per due milioni di dollari. Cosa è accaduto dopo? Altro interrogativo. Non l’ultimo, visto che gli investigatori hanno il sospetto che dietro tutta questa faccenda ci sia una storia di tangenti pagate a politici. Di più non trapela.
Non solo dollari, ma anche oro. A tonnellate. Il 4 ottobre Lapis informa Terranova che il problema relativo all’operazione dell’oro risolto e lo prenderanno da Hong Hong, ma devono avere solo la conferma. Conferma che deve arrivare da tale Giancarlo. Da dove arriva loro si capisce daghe parole di Amormino a Lapis: “Il nr. 3 del gruppo “Yamamoto Finanziario è venuto da noi, io ho fatto la verifica, lui ha comprato per un miliardo di euro, lui proprietà, una miniera nelle filippine, abbiamo chiamato l’ambasciata abbiamo visto il certificato di proprietà, una miniera d’oro eh professore”. Lapis: “A me mi servono lingotti d’oro!”. Amormino: “…allora lui ha il certificato per portarlo dalla miniera in Italia, li fa fare qui in Italia a Vicenza, e poi diventano lingotto con il marchio con la punzonatura, adesso non so come diavolo si chiama, e dopo di che fa la vendita, abbiamo la persona diretta, il proprietario della miniera!”.
Il Lapis sembra inoltre avere la disponibilità di ingenti capitali, lo stesso si avvale della collaborazione di Giuseppe Peditto, un messinese che opera per conto del tributarista in Francia e Svizzera. Oltre a Peditto, con il Lapis collaborano Antonio Gaudio, suo socio di studio, e Vincenzo Barresi. Tutti coinvolti nell’affare dell’oro. Il gruppo del Lapis si avvale, in qualità di mediatore, di un soggetto arabo utilizzatore di un’utenza straniera di nome Bakir, in corso d’identificazione che opererebbe in Spagna. Ce n’è abbastanza per concludere che siamo di fronte ad un intrigo internazionale tutto da chiarire.