Palermo, il pescatore: "Non ho uccisa Ruxandra e se il prete parlasse"

Il pescatore: “Non ho ucciso Ruxandra e se il prete parlasse”

Un palermitano è sotto processo per l'omicidio di una donna rumena
ORRORE IN AULA
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PALERMO – Il pescatore Damiano Torrente sotto processo per l’omicidio di Ruxandra Vesco, rumena di 38 anni, cambia ancora una volta versione. Dopo avere confessato e ritrattato durante le indagini, davanti alla Corte di Assise presieduta da Sergio Gulotta nega addirittura di avere conosciuto la donna. E tira in ballo altre persone: sarebbe stato pagato per fare ritrovare il cadavere.

L’omicidio del 2015

Fu Torrente a indicare due anni fa il luogo dove c’erano i resti ossei della donna, messi dentro un sacco e gettati in un dirupo a Monte Pellegrino. L’omicidio risalirebbe al 2015. Il pescatore in un racconto macabro e denso di particolari disse di averla strangolata con una corda (“Voleva denunciarmi e l’ho uccisa”), ma poi si rimangiò tutto.

La nuova versione

“Io Alexandra Vesco non l’ho mai conosciuta, io ho conosciuto la sua storia, io ho raccontato la sua storia, sono stato così stupido – spiega ora alla Corte – da fare ritrovare quello che mi era stato riferito. Mi era stato riferito e mi era stato indicato come posto, io sono stato così stupido da fare ritrovare quello per una cosa mia, una cosa cristiana, una cosa soltanto mia, io questo ho detto al prete, se parlate del prete parlate di un altro processo”.

“Con la mano sul cuore le dico…”

“Presidente, io le dico con la mano sul cuore che non l’ho mai conosciuta questa Ruxandra – aggiunge – … gli spiego una cosa, il danno, che cosa ho fatto io. Io l’ho fatta rivivere questa Ruxandra, pensando, dicendo che era una alcolizzata che non so se era alcolizzata, che era una meretrice e non so se era una meretrice, che era come la volevo io, quello è, il discorso è quello, che quella persona io l’ho indicata come la voleva…”.

Fa i nomi dei presunti assassini

E fa il nome della persona che lo avrebbe imbeccato: “Perché chi mi ha detto di dire, di dichiarare queste cose sotto il pagamento di 2.000 euro, mi ha detto tutta la vita di quella persona, per questo intendo io dire chi è stato e che cosa veramente è successo, io sono stato pagato 2.000 euro per dire quelle cose”.

“Tutte fesserie”

Erano “tutte fesserie”, dette per paura ai carabinieri e al magistrato che dispose il fermo del pescatore: “Io non mi spaventavo di (qui fa il nome di un’altra persona, ndr), ma di chi c’era alle spalle… altre persone dello Zen che io non conoscevo. Lui mi ha dato i soldi, ma erano soldi di altre persone che non volevano più… volevano che io dicessi quella cosa. Io volevo darglieli, volevo ritornargli i soldi, non li hanno più voluti i soldi, volevano che io dicessi quella cosa, volevano che Damiano Torrente si accollasse
questa cosa e l’ho fatto”.

“Mi hanno scritto cosa dire”

Sarebbe stato preparato a dovere: “Me l’ha ha scritto, dopo giorni me l’ha dato, mi ha scritto delle piccole cose dove io dovevo imparare quelle cose a memoria per essere credibile, ma mi ha assicurato che là sotto non c’era nulla, mi aveva assicurato che là sotto non c’era nulla, era perché dovevano sapere a chi avevano prestato veramente i soldi, che cosa può succedere a chi presta i soldi, a chi non ridà i soldi alle persone, questo è”. Sui social si leggevano i post contro Ruxandra Vesco accusata di truffare la gente.

L’avvocato Alessandro Musso ha sempre sostenuto l’innocenza del pescatore, tanto da chiedere una perizia psichiatrica. I consulenti hanno stabilito che l’imputato è capace di intendere e volere, nonostante si fosse già auto accusato falsamente di avere commesso altri omicidi.

La confessione al prete

Prima di bussare alla porta dei carabinieri e fare ritrovare il corpo Torrente si era confessato con un prete che lo aveva convinto a liberarsi di un peso enorme (“Padre brucerò all’inferno“): “Se sapesse quello che ho dichiarato al prete vi mettereste veramente le mani ai capelli veramente”, dice ora. Il prete, però, convocato come testimone nel corso del processo ha mantenuto il vincolo della segretezza della confessione.


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