CATANIA. E’ l ‘autonoleggio “San Giorgio”, che ha sede a Catania proprio sullo Stradale San Giorgio 194, il centro nevralgico dell’inchiesta “Carback” che ha portato all’arresto di 51 persone e di altre 17 finite ai domiciliari.
Una indagine articolata scattata sul finire dell’estate 2020 che ha visto un ingente spiegamento di carabinieri ed il coordinamento del Procuratore aggiunto Ignazio Fonzo e dei sostituti Antonella Barrera e Andrea Norzi.
Tra le pieghe del racconto capillare del gip Anna Maria Cristaldi, spuntano anche i fatti legati alla nota sparatoria di Librino dell’8 agosto 2020: conflitto a fuoco che fece due vittime sul campo.
I fatti di Librino lambiscono l’inchiesta
I protagonisti, tutt’altro che casuali della vicenda, sono in particolar modo Salvatore Giuffrida e Santo Tricomi.
In particolare, Giuffrida, in una intercettazione captata dagli inquirenti, fa riferimento – per l’appunto – al duplice omicidio di Librino. Una conversazione intrattenuta con tale Massimo: presumibilmente, si legge nell’ordinanza firmata dalla gip Maria Cristaldi, si tratta di Massimiliano Cappello.
Secondo quanto detto da Massimo, “i ragazzi” del quartiere, seppur appartenenti ai Cursoti Milanesi, avrebbero potuto stare tranquilli, perché la questione rimaneva aperta solo nei confronti dei fratelli (si tratta dei Sanfilippo, Martino Carmelo ed Antonino Marco) e nei confronti di Carmelo (Di Stefano). Per il resto, secondo sempre per quanto sostenuto da Massimo, il clan Cappello e i Milanesi, Nuccio Miano compreso, erano da ritenersi tutta una cosa.
Tricomi e le tensioni sullo spaccio della droga
C’è un passaggio ricostruito dagli inquirenti che delinea anche il rapporto tra Salvatore Giuffrida e Santo Tricomi (imparentati ma appartenenti a clan contrapposti).
Giuffrida viene informato da Tricomi di essere entrato in contrapposizione verbale con Roberto (si tratta evidentemente di Roberto Campisi). In particolare, Campisi, che è implicato nel duplice omicidio di Librino quale appartenente alla fazione dei Cursoti milanesi, per paura di ritorsioni da parte degli appartenenti al clan Cappello, si era rinchiuso in casa e commissionava a Tricomi il disbrigo di parte dei propri affari illeciti. In particolare, Tricomi era stato incaricato di risolvere la questione riguardante i fratelli Costa ed i contrasti sorti tra gli stessi e “tale” Giovanni Caruana per lo spaccio al civico numero 7 del viale Grimaldi di Catania.
“Roberto, però – sempre come si legge nella corposa ordinanza della gip – non aveva gradito che Tricomi, per lo svolgimento di detto compito e di propria iniziativa, si fosse avvalso dell’aiuto del cugino, Salvatore Giuffrida. Il Tricomi, per giustificare il proprio operato, diceva che il Giuffrida, seppur appartenente al clan Cappello era prima di tutto un suo parente e, nel momento del bisogno, si era sempre prestato a dargli una mano. II Giuffrida indicava di avere avuto un confronto con lo stesso Roberto e di avere compreso che il problema riguardava il solo Roberto e non anche le “famiglie” di rispettiva appartenenza. Il Giuffrida si mostrava interessato alla vicenda anche perché, per sua stessa ammissione, avrebbe dovuto dare una risposta a quelli del viale Grimaldi 7 (ossia a Caruana Giovanni Edoardo). Qualche giorno dopo la questione si sarebbe meglio compresa.
Nel ribadire poi le proprie appartenenze, i due interlocutori, sempre per gli strascichi derivanti dal duplice omicidio, riferivano di avere avuto garanzie che non vi sarebbero state ripercussioni nei loro confronti. I due parlavano, poi, di un omicidio commesso in passato da SCARDACI Santo, i cui contenuti rimanevano però poco chiari”.
Ad un certo punto, lo stesso Giuffrida spiegherà a Tricomi di volersi tirare fuori dalla vicenda per evitare equivoci sulla sua persona. E sulla sua affiliazione ai Cappello.
L’episodio
E’ il 28 novembre del 2020 quando gli investigatori intercettano Giuffrida Tricomi, Gaetano Condorelli e Anna Maria Di Mauro che commentano la questione legata a Giuseppe Maruca, per la quale “il Giuffrida si sentiva ferito nell’onore. Al principio della vicenda vi era stato un litigio tra le rispettive mogli quando il Giuffrida e la moglie, Anna Maria Di Mauro, si erano recati a casa dei coniugi Maruca per chiarire la vicenda, la moglie di quest’ultimo aveva picchiato la moglie di Giuffrida. Quest’ultimo, ritenendola una vera e propria imboscata, dopo essersi armato di pistola, aveva iniziato una caccia all’uomo, per vendicarsi dell’affronto subito. Della vicenda si erano interessati quelli che lui stesso definiva “suoi compagni”, a tal punto che il Maruca si era dovuto barricare in casa ed aveva evitato di uscire, temendo ritorsioni. Durante il racconto, si sentiva il Giuffrida maneggiare un’arma, arretrando più volte la culatta otturatore e lo scatto del cane mediante pressione della leva di sparo. Nella circostanza, ridendo, il Giuffrida ed il Tricomi dicevano che l’arma era stata caricata a salve”.
Arma che era, invece, probabilmente vera. Fatto confermato dallo stesso Giuffrida che affermava più avanti di essersi armato, per procurare dei danni al suo contendente.