Palermo, omicidio: assassino reo confesso, "legittima difesa"

Palermo, “ha ucciso per paura, temeva di essere ammazzato”

Processo per l'omicidio di Brancaccio. "Non merita l'ergastolo"

PALERMO – In ballo c’è una possibile condanna all’ergastolo. Che, però, secondo la difesa, l’imputato Alessandro Sammarco non merita. Fu lui ad uccidere Natale Caravello a colpi di pistola. Nella sua arringa davanti alla Corte di assise di Palermo l’avvocato Corrado Sinatra spiega che non si è trattato di un omicidio volontario, ma preterintenzionale e invoca pure la “legittima difesa putativa”. Può succedere che un individuo creda di essere minacciato mentre il pericolo non sussiste.

L’omicidio e il possibile movente

Sammarco, 20 anni, nel marzo dell’anno scorso, sparò alle spalle di Caravello che di anni ne aveva 46. Il movente del delitto sarebbe legato alla mancata relazione fra il ragazzo e la figlia della vittima. Un amore non corrisposto, divenuto ossessione. Secondo gli investigatori, il giovane considerava il padre un suo nemico. Probabilmente lo riteneva responsabile del disinteresse della figlia nei suoi confronti.

Il giovane lavorava nella bottega del nonno a Ballarò. La vittima era giardiniere della Reset in servizio al cimitero dei Rotoli. L’imputato confessò il delitto. “Ho visto che metteva la mano nel borsello e ho avuto paura che mi stesse per sparare anche perché la figlia mi aveva detto che suo padre voleva uccidermi”, ha riferito il ventenne. Ha fatto fuoco con una calibro 22 “che ho comprato 600 euro da un tunisino a Ballarò”. Girava armato perché teneva per la sua vita.

Esplosi tre colpi

Una versione bollata come falsa dalla pubblica accusa, tanto che il pubblico ministero Salvatore Leopardi ha chiesto il carcere a vita. La traiettoria dei colpi, secondo la difesa, confermerebbe che dopo avere esploso il primo colpo imputato e vittima caddero per terra. Erano rispettivamente in sella ad un bici elettrica e a uno scooter. Quindi furono esplosi altri due colpi. Quello mortale raggiunse Caravello al polmone.

“Non fu un agguato”

Secondo l’accusa, si trattò di un agguato premeditato e quei due colpi il segno della volontà di portare a termine l’esecuzione. Al contrario, per l’avvocato Sinatra, sarebbero la prova che l’omicidio “è stato un evento non voluto” da Sammarco in preda al panico. Aveva paura di essere ammazzato. Se si fosse trattato di una esecuzione l’imputato avrebbe mirato alla testa. Il giovane avrebbe davvero creduto che Caravello fosse armato. Non c’è la prova, ma neppure la conferma che nel borsello non nascondesse una pistola. Il legale sostiene che qualcun altro potrebbe averla fatta sparire, tenendo conto del capannello di gente che si era formato nel luogo del delitto. D’altra parte, fa notare la difesa, la bicicletta elettrica di Caravallo fu alzata e sistemata sul cavalletto. Non fu opera dell’agente libero dal servizio che intervenne subito, credendo che si trattasse di un incidente stradale, né dei poliziotti della squadra mobile.

Il legale si è soffermato sulla confessione di Sammarco. “Mi sono consumato”, disse subito al pubblico ministero. E lo confermò anche nei dialoghi intercettati con la madre e il fratello. La sua versione sarebbe genuina anche nella parte in cui ha spiegato di temere per la sua vita e in quella in cui ha ricostruito la sua relazione sentimentale con la figlia della vittima. Una relazione che la ragazza ha sempre negato, sostenendo di essere stata perseguitata.


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