PALERMO- Ma chi è uno che accarezza un gattino sulle sue pagine di Facebook, poi, nella realtà, impugna un coltello, massacra due bellissime sorelle, ne ammazza una e ferisce gravemente l’altra? La fotografia è sfocata perché così noi percepiamo Samuele Caruso, ventitreenne balordo e omicida. Non capiamo. Non può essere lui quello che tiene amorevolmente un cucciolo tra le braccia, lo allatta e lo accarezza. In quale schizofrenia del nostro tempo – è l’osservazione immediata – si passa dalla gentilezza alla furia, dalla tenerezza alla violenza, dalla quiete all’omicidio? Ci sono risposte? Forse no. Forse non ci poniamo domande corrette. La prima tentazione è pensare che “il mostro” – secondo logica definizione popolare e mediatica – sia altro da noi. Un alieno. Un fantasma approdato da un pianeta estraneo. Sarebbe bello se fosse così, se potessimo esorcizzare l’orrore che sentiamo con un gesto di allontanamento e noncuranza. Purtroppo, Samuele Caruso è uno di noi, anche se diverso da noi. E’ una creatura di questi giorni, impastata delle suggestioni, dalla ferocia, dalla dolcezza che questi giorni conoscono e diffondono.
Le reiterate missive di commentatori sulla pena di morte, sulla tortura, l’augurio che Samuele patisca in carcere le pene dell’inferno, sono il riflesso di una rabbia comprensibile. Una cosa inutile, definizione che ripetiamo, ha assassinato uno splendido essere umano, mutilato la sorella e una famiglia perbene e sventurata. Colpisce la tragica e stupida motivazione di tanta ferocia – una storia finita male – rispetto al cataclisma di perdita e sciagura che ha provocato. Dietro la morte di Carmela e il ferimento di Lucia ci sono sms rancorosi, sgarbi su fb, tutto l’armamentario che rientra nella fisiologia dell’innamoramento non corrisposto e del rancore, soprattutto nell’era delle conoscenze consumate sullo schermo di un pc. Solo che, stavolta, dal normale svolgersi di una vicenda di coppie infrante è scaturito un danno irreparabile.
Però, la forca sollevata col cappio rivolto verso il collo di Caruso, per indicazione unanime sul web, nasconde anche la preoccupazione di separarlo da noi, dai nostri gusti, dai nostri cammini, dagli orologi con cui misuriamo i minuti, dai film che ci piacciono, dai libri che leggiamo, da quello che compone il bagaglio della nostra educazione sentimentale. Lo vogliamo morto, prima che sia tardi, prima che accada l’evento di riconoscere in lui un frammento, un solo frammento basta, di ciò che sperimentiamo. Vuol dire che siamo tutti assassini potenziali? No. Vuol dire che siamo tutti uomini sospesi tra una desiderata altezza e un abisso ipotetico.
Chi è Samuele Caruso, colui che accarezzava il gattino? Dovremmo allargare l’obiettivo al contesto e chiederci, tanto per cominciare, chi sia davvero l’umanissimo utente che frequenta le contrade di fb, per ricavare proprio una somma algebrica del nostro umanesimo. Non per innalzare stendardi contro lo sterco del diavolo della modernità, ma per riflettere sull’invadenza di un mezzo che diventa implacabilmente contenuto. Noi, sul grande diario virtuale, scriviamo per informare il mondo sugli orari esatti dei nostri appuntamenti e viaggi. Noi ci diciamo “buongiorno” senza conoscerci e senza volerci bene. Noi seminiamo sulla pagina i nostri “vaffa”. La scrittura è codice estemporaneo, come la vernice rossa sui muri, non più elemento definitivo di una breve o lunga meditazione, nemmeno suggestione mnemonica. E’ la presa diretta del nulla per essere osservati senza osservare.
Facebook è il luogo in cui il peto, il rutto, la dichiarazione d’amore, il lutto, la poesia e il volto assumono indistintamente la dignità e il rango di espressione. Laggiù vivono cittadini di una città a strati che di sé fanno sapere solo quello che ritengono opportuno, che si costruiscono addosso un’immagine, che mettono il gattino in copertina e poi scannano due piccole donne, senza apparente principio di contraddizione. L’assenza di difformità e di criterio sul web si spandono nella concretezza della vita e la contaminano. Farsi la barba o uccidere, che differenza c’è? Ecco perché non riusciamo a sovrapporre bene Samuele l’amante degli animali con Samuele l’assassino, ecco perché la definizione ci sfugge. Perché abbiamo perso il senso della differenza delle persone, anche di una persona tra sé e sé, sedotti come siamo dalla dittatura univoca del ritratto.
Invece Shakespeare insegna che un uomo può essere carogna e ridere. Può amare un gattino. E uccidere una donna.

