CATANIA – “Non solo pizza… Vite da Rider”. Il titolo è apparentemente ameno, non per questo è lecito lasciarsi andare a facili distrazioni. La catanese Ada Fichera, per la Edizioni Sindacali, firma un testo tanto umano quanto disarmante. Ma chi sono? Non dei fattorini, secondo la dizione classica, e neanche “immigrati che pedalano per pochi euro”. Non soltanto, almeno.
Chi sono i rider
I rider sono prima di tutto persone, alcune in cerca di talune libertà che gli uffici non offrono. Esponenti di una categoria che soltanto di recente, sulla scorta della contrattazione avviata dal sindacato Ugl, ha conosciuto una prima forma di regolamentazione.
Un risultato tutt’altro che facile. Era impossibile infatti lasciare che una vasta fetta di lavoratori si esponesse in solitario ai rischi della strada schivando sia le buche che le scarse – anzi, inesistenti – garanzie. Non dopo il Covid, almeno. Emergenza che ha reso la figura del rider tra quelle indispensabili, assieme a quei tanti lavoratori che non hanno potuto fermarsi nonostante l’assalto del virus.
Fichera ha individuato una storia per ogni regione: una fotografia sull’Italia di oggi che serve ad aprire uno squarcio. Perché le vicende raccolte servono a “fornire anche degli elementi su cui riflettere e da cui partire per affrontare, ad esempio, in modo più incisivo, il lavoro irregolare (falsi, account, etc…), le dinamiche dell’algoritmo che governa le piattaforme, le polizze assicurative eventuali per la malattia e molte altre tematiche che vanno certamente prese in considerazione dal sindacato”. Ecco la funzione di un testo tanto veloce, quanto urgente.
In cerca di stabilità
La prefazione è a firma di Vincenzo Abbrescia, segretario nazionale Ugl Rider; la postfazione è di Pietro Ichino, docente di Diritto del Lavoro nell’Università degli Studi di Milano. È Rosario Trovato, di Acireale, a mettere a disposizione la propria testimonianza per la Sicilia e raccontare le dinamiche di un mondo del lavoro che tra call center e partite iva stenta a offrire stabilità.
Eccolo: “Non sarà facile trovare un lavoro diverso da questo a quarant’anni compiuti, visto che già oggi non c’è occupazione; tuttavia, se siamo tutelati come categoria e lo Stato ci viene incontro come autonomi, perché non continuare a fare il rider per sempre? Per me è un mestiere di sogno, nessuno altro ti dà gli stessi guadagni con la stessa libertà”.