PALERMO – Un uomo in fuga, il silenzio di due famiglie, l’omertà di un quartiere. Quello di Giovan Battista Tusa non è stato un delitto di mafia, ma l’atteggiamento dei protagonisti appartiene al cliché di Cosa nostra.
Gli investigatori della Squadra mobile mettono uno accanto all’altro i tasselli dell’omicidio di via Villagrazia. Ci sono già alcune certezze. Soprattutto sui tempi e i luoghi. La vittima ha comprato il pane qualche minuto dopo le tredici di ieri. Poi, è andato al bar che la figlia gestisce a Bonagia. Ha preso alcune sfince e la pasta con le sarde, tipici della tradizione siciliana nel giorno di San Giuseppe. Quindi è andato verso casa. Alle 13 e 35 è arrivata una chiamata al 118 per segnalare la presenza di un uomo disteso a terra. Non era stato colpito da un malore, ma da un proiettile calibro 38. Che qualcuno gli ha sparato nell’intervallo di tempo trascorso dall’acquisto del pane alla richiesta di aiuto telefonico.
Quel qualcuno, gli investigatori hanno sempre meno dubbi, potrebbe essere il cognato della vittima. Troppo strano, infatti, che Vincenzo Gambino, 80 anni suonati, decida all’improvviso di andare via di casa. Quella che verrà è dunque la seconda notte in fuga. Ha portato con sé una pistola dello stesso modello di quella che ha ucciso Tusa e un fucile. Si è allontanato in macchina, salvo poi abbandonarla. Impossibile che un uomo della sua età inizi una fuga solitaria. Ecco perché, a meno che Gambino non abbia compiuto qualche gesto estremo, si cerca fra amici e parenti per scovare chi lo sta ospitando. Già i parenti che, ascoltati dagli investigatori coordinati dai pubblici ministeri Leonardo Agueci, Maurizio Agnello e Roberta Buzzolani, hanno ricostruito uno scenario familiare idilliaco. Nessun contrasto fra le famiglie Tusa e Gambino. Nessun motivo di rancore. Niente che possa avere fatto scattare la lite finita in tragedia con un colpo di pistola al fianco.
Alcune racconti sembrano inverosimili. Uno su tutti: c’è chi ha detto che Tusa era andato a casa del cognato chiedendo un passaggio in macchina nel pomeriggio per ritirare una ricetta medica. Poi, appena fuori casa, si è sentito un rumore. Non il rumore sordo di un colpo di pistola, ma quello di un vaso che va in frantumi. Magari urtato dalla stampella con cui Tusa reggeva il suo passo, sofferente com’era. Nel quartiere, neanche a dirlo, nessuno è al corrente di contrasti fra le due famiglie. Tusa e il cognato? Due persone perbene che andavano d’amore e d’accordo.
Gli investigatori non si aspettano che la svolta nelle indagini possa arrivare da chi vive a Villagrazia. E neppure dai parenti. Tusa era un uomo d’onore di Cosa nostra. A fare il suo nome era stato il pentito Gioacchino La Barbera che lo associava a due pezzi da Novanta della mafia di un tempo: Pietro Aglieri e Giovanni Brusca. Gambino, invece, è suocero di Salvatore Adelfio, boss detenuto dal 2009. Sfuggito alla cattura nell’operazione Old Bridge, Adelfio fu scovato in Spagna dopo una breve latitanza. Figlio del capomafia Giovanni, si era rifugiato nella località balneare di Torremolinos. Si tratta, dunque, di due famiglie abituate al silenzio che vivono in un quartiere che preferisce vivere nell’ombra. Inutile cercare indicazioni utili da chi abita in quel tratto sterrato di via Villagrazia dove Tusa viveva da solo poco distante dalle abitazioni delle due sorelle