PALERMO – L’intercettazione obbliga a portare indietro le lancette del tempo. Fino al 1985, anno del rapimento del gioielliere palermitano Claudio Fiorentino. Lo tennero prigioniero per quasi due anni. La richiesta di riscatto fu di 5 miliardi di lire.
I collaboratori di giustizia spiegheranno poi che le estorsioni non bastavano più e Cosa Nostra fece cassa violando la regola che vietava i sequestri di persona. Le famiglie mafiose si spartirono il bottino. Della consegna del denaro, circostanza sempre avvolta dal mistero, si sarebbe occupato padre Antonino Severino, morto nel 2020, per molti anni parroco di Maria Santissima dell’Assunta a Valdesi. Era un punto di riferimento per la gente della borgata marinara.
Nel 2022 Gennaro Riccobono era in macchina con Giovanni Cusimano, mafioso settantacinquenne di Partanna Monndello, rione dove avvenne il sequestro di persona. Entrambi sono stati coinvolti nel maxi blitz dei carabinieri dei giorni scorsi.
“Prima avevano fatto il sequestro Fiorentino… fu uno dei primi a Palermo”, diceva Riccobono. Cusimano lo correggeva ricordandogli che in realtà il primo era stato quello dell’ingegnere Luciano Cassina, rapito dai banditi in via Principe Belmonte il 16 agosto 1972 e rilasciato il 7 febbraio successivo dietro il pagamento di un miliardo e trecento milioni di riscatto.
“Il riscatto lo ha pagato?”, chiedeva Riccobono tornando a parlare del sequestro Fiorentino. Cusimano conosceva la storia: “Sì, bei soldi e oro portò”. Riccobono chiedeva all’anziano uomo d’onore se avesse materialmente visto il riscatto. Risposta: “No, neanche i soldi ho visto… mi sono arrivati i soldi però… io ero in galera… 12 milioni mi sono arrivati a me”.
Infine un riferimento a Don Antonio Severino: “… ci è andato bene il parrino… però loro hanno pagato chi 80, chi 70, chi 100, 150… lo hanno pagato”. Anche Matteo Messina Denaro in uno dei suoi interrogatori ha fatto riferimento al sequestro di persona.

