Cateno De Luca, l'Ars e gli slip...

Gli slip di ‘Scateno’

Il dibattito. Il passaggio sugli indumenti. Lo scenario
IL PERSONAGGIO POLITICO
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Quando Cateno De Luca, nella discussione all’Ars sulla manovrina, ieri pomeriggio (oggi si ricomincia), ha ripreso le sembianze di Scateno, immaginiamo che un fremito abbia colto l’Aula.

La frase è passata come un lampo, nell’alveo di un intervento ampio ed effervescente versus i cosiddetti ‘Savonarola 4.0’: “Siamo pronti ad affrontare il dibattito, anche giorno e notte. Mia moglie mi ha preparato quindici slip”.

Era una previsione ardimentosa di tempistica dei lavori parlamentari. E chissà che molti dei presenti non si siano messi a fare i conti, a filo di dita, con malcelata apprensione. Operazione di aritmetica non immediata. Già, quindici paia di slip quanti giorni di Aula sono nelle usanze di ciascuno? Quanto fa?

Lo stesso protagonista della metafora sartoriale ha chiarito: “…In modo tale che se dobbiamo stare quindici giorni e quindici notti sono attrezzato”. Presumibile crollo psicofisico degli astanti. E che è un Conclave? Qualcuno potrebbe chiosare: scusi, onorevole, ma gli slip, le mutande – così c’è chi li chiama con qualche approssimazione, ignorando le rispettive peculiarità – perché non se li preparava lei? Diamo per certo che abbia contribuito. Qualcun altro, magari, ricaverà un reality dal titolo: ‘Quindici slip per quindici giorni (notti comprese)’. Non osiamo avanzare con l’inventiva.

Le mutande di ‘Scateno’

D’altra parte, l’articolo mutandesco non è nemmeno nuovissimo per il sindaco di Taormina. I più esperti (sic) ricorderanno ben altre rappresentazioni tematiche. Basta cercare nel vasto mare del web.

Cateno De Luca è popolare, qualunque sia la declinazione del frangente. Dal punto di vista della comunicazione, di solito, ci azzecca. Infatti, gli slip sono stati richiamati più volte nel dibattito. Lui, per naturalità espressiva, si trova a suo agio sull’assito di un palcoscenico, in quella porzione della politica che ricorda il teatro. Al tempo stesso, conosce a fondo la macchina, sa giocarsi le partite.

E c’è sempre la politica, per carità, con regolamenti, norme, idee, passioni e confronti più o meno civili. Ma c’è anche il teatro rivolto da tutti al pubblico, cioè ai futuribili votanti. Niente per cui scandalizzarsi. Va così.

Politica e ‘teatro’

Altezze di teatralità – nessuno si senta offeso – raggiungono periodicamente certe invocazioni preoccupate, a contraddire la distanza percepita tra le persone e il Palazzo. Come se una seduta dell’Ars fosse un autodafé offerto per le mancanze, i peccati, le omissioni di un insieme collocato nell’emisfero del privilegio. Tale è la vulgata tra populismo e realtà. Che ha ricevuto, ahinoi, più di una conferma, nei decenni.

Ogni dettaglio si tiene. L’intervento di cappa e spada. I gesti secchi. Le mozioni di affetto. Il pathos dei passaggi. L’effluvio incontrollato di parole, a proposito o fuori bersaglio. Le parlantine sciolte. Gli inciampi. Tutto è sormontato da una innocenza encomiabile di intenti.

E ti pare perfino di scorgerli, i politici accorati, nelle farmacie, nei supermercati, per strada, ovunque ci sia un conterraneo meno abbiente da soccorrere, nella ‘Fata Morgana’ di molte retoriche sovrapposte.

Poi si approda agli indumenti essenziali, evocati dalla scabra veracità di Scateno, nel senso della nudità. Poi, per involontario contrappasso, si torna, irrevocabilmente, con la rivestita malinconia del pensiero, ai siciliani in mutande (o con gli slip).

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