Tanti segnali, piccoli e grandi, possono descrivere il declino di questa città. Lo stato dei marciapiedi e la pulizia delle strade. I negozi che chiudono e quelli che non aprono. Le erbacce e il randagismo. La pedonalizzazione impazzita e il traffico incontrollato. I rifiuti sulla spiaggia di Mondello alla fine di un giorno di festa e quelli di ogni giorno in un quartiere di periferia. I parcheggiatori abusivi e il parcheggio selvaggio. E, come ogni palermitano sa, si potrebbe proseguire a lungo. Di segnale ce n’è uno, però, che forse fa più male di altri. I ladri di libri. In questa città non si ruba solo cibo, non vestiti, ma libri. La Feltrinelli denuncia furti di dizionari, rivenduti sul mercato nero, ma racconta anche di aver scoperto a rubare clienti abituali: non per rivendere, ma per leggere.
Il libro è un nutrimento e un abito, come sa chiunque legga. Ma il libro è anche altro. Per questo non si ruba. Un libro è un’emozione, una passione, una forma di educazione civile. Chi legge è abituato al silenzio, al rispetto, alla solitudine. Chi legge è abituato a pensare. Chi legge non ruba ma condivide, perché fa circolare l’unico bene non soggetto a deperimento per troppo uso: le idee. La responsabilità penale è personale, certo. Un furto è un furto e il suo autore, soprattutto se oggetto del furto è un libro, è sicuramente consapevole delle conseguenze. Ma c’è una forma di responsabilità forse più importante di quella penale, perché non coinvolge il singolo ma la collettività. È la responsabilità di chi costringe un lettore di libri a rubare. In una città che ha sistematicamente rifiutato ogni forma di condivisione della cultura, che non investe nelle biblioteche, nei teatri, nella musica, che non investe e basta, sarebbe tempo di fare altre denunce che quelle ai ladri di libri, e trovare altri colpevoli.