PALERMO – Raccontano che quando ha letto la missiva, Giovanni Ardizzone era incredulo, tanto da pensare a uno scherzo. Poi, però, una volta terminata la lettura della lettera dello studio legale palermitano, al presidente dell’Ars è toccato prendere atto, non senza sorpresa, che era tutto vero.
La lettera è un atto di diffida e messa in mora formulato in nome e per conto del sindacato autonomo dei dipendenti dell’Ars Sada (il segretario è Salvatore Collica). Che contesta il taglio degli stipendi deciso dall’Assemblea per gli assunti a far data dal primo gennaio 2013. Per questi dipendenti, infatti, l’Ars, nell’ambito di una gamma di misure volte a contenere i costi di Palazzo dei Normanni, aveva deciso una riduzione degli emolumenti del 20 per cento, come si evince anche dalle tabelle pubblicate sul sito dell’Assemblea. Un trattamento che si applica ai 17 coadiutori parlamentari e ai tre consiglieri parlamentari assunti nell’ultimo anno e mezzo. Una scelta che adesso il sindacato autonomo – una delle sigle che rappresenta i dipendenti di Palazzo dei Normanni – contesta come quella di sospendere le indennità di funzione ai responsabili di unità organizzative da ottobre 2013 e dei capiufficio e dei direttori da giugno 2014. Si tratterebbe, secondo la diffida dei legali del sindacato, di decisioni assunte contro i dettami di legge e disattendendo un accordo con le organizzazioni sindacali stipulato a febbraio 2013.
Nella lettera si rivendica l’aggancio del trattamento giuridico ed economico del personale dell’Ars ai dipendenti del Senato e si stoppa sul nascere la recente e contestata delibera (del 25 giugno scorso) con cui il consiglio di presidenza ha fissato un tetto di 240 mila euro per gli stipendi dei dirigenti dell’Assemblea.
Altro che tetto: il sindacato dei dipendenti dell’Ars non accetta nemmeno i tagli decisi un anno e mezzo fa, e chiede che i nuovi assunti vengano pagati come i vecchi, appellandosi all’articolo 17 delle norme regolamentari dell’Amministrazione.
Insomma, proprio mentre l’Ars finisce nell’occhio del ciclone anche sui meda nazionali per le resistenze contro i tagli ai dorati stipendi del suo personale, i dipendenti rilanciano e giocano al rialzo, minacciando di adire le vie legali se non saranno riconosciute, con effetto retroattivo, le loro richieste.
In base ai tagli contestati dal sindacato, un coadiutore parlamentare neoassunto – secondo le tabelle pubblicate sul sito dell’Ars – guadagna 1.600 euro netti, che diventeranno più di 3.500 dopo vent’anni di anzianità, 4.300 dopo trent’anni. Un consigliere parlamentare assunto dopo il 1 gennaio 2013, invece, parte da 2.687 euro netti, per arrivare dopo vent’anni a poco meno di settemila euro in busta paga, 8.818 dopo trent’anni, per quindici mensilità. Cifre (a cui vanno aggiunti gli assegni di anzianità, spiega il sito dell’Ars) che evidentemente il personale neoassunto dell’Assemblea non ritiene sufficienti, rivendicando le più pesanti buste paga dei colleghi più anziani.
Gli stipendi del personale dell’Assemblea sono i più pesanti tra i consigli regionali italiani. Questo perché, per via dell’autonoma, le norme agganciano il trattamento economico e normativo dei dipendenti di Palazzo dei Normanni a quello del Senato. Dal canto loro, però, i dipendenti dell’Assemblea hanno fatto notare a chi polemizzava sulle loro buste paga di essere stati tutti assunti per concorso proprio per quel tipo di carriera parlamentare, e di lavorare spesso fino a tardi senza avere riconosciuto lo straordinario se non dopo la mezzanotte.
Alla fine dell’anno scorso, l’Assemblea ha votato una legge che, adeguandosi al decreto Monti, ha ridotto i costi dell’Assemblea, tagliando i trasferimenti ai gruppi e le indennità ai deputati, che sono state adeguate a quelle di tutti gli altri consigli regionali italiani (11.100 euro lordi a deputato per dodici mensilità). Già in precedenza l’Ars aveva cancellato una serie di privilegi dei deputati che fino a non molto tempo fa avevano anche diritto al pranzo alla buvette a spese dell’Assemblea. In un’ottica di spending review, è stata anche approvata una legge costituzionale che dalla prossima legislatura porterà da 90 a 70 il numero degli eletti. Dopo aver fatto stringere un po la cinghia ai politici, l’Assemblea ha tentato di agire anche sulle spese per il personale, che solo di stipendi (l’Ars paga anche le pensioni) costa quasi 33 milioni all’anno (quanto l’intero costo del consiglio regionale dell’Emilia Romagna). Ma la risposta del personale è tutta nella lettera che in un primo momento ha fatto pensare a uno scherzo ad Ardizzone.