Di cartapesta. Non restano più né carne né sangue, né amori né rancori, né pietà né compassione. Nel delitto di Loris Stival – assassinato a Santa Croce Camerina, morto eternamente bambino perché tale risulterà in tutte le fotografie da qui all’eternità – ciò che era umano ha lasciato il posto alla sua contraffazione.
E’ di cartapesta il fondale televisivo che ospita la scenografia della morbosità, sempre arricchita di nuove maschere. Di cartapesta il coro di parenti chiamato alle comparsate per ravvivare il gusto della pietanza. Tutti rassomigliano a cavallucci di cartone dallo sguardo vitreo sulla giostra che gira nel senso inverso dell’amore.
Non c’è traccia di dolore per Loris, sui capelli fonati, nei mezzi sorrisi compiaciuti della ribalta dopo una vita di anonimato. Non riverbera amore nelle parole che si rincorrono, solo per contraddirsi, in un continuo ribaltone.
Antonella Panarello, zia di Loris, dice a ‘Porta a Porta’: “Non viene fuori chi è stato. Davide l’ha abbandonata – l’addebito nei confronti di Davide Stival, marito di Veronica -. Io penso che mia sorella non c’entri niente. Anche mia madre è convinta della sua innocenza”. L’intervistatrice incalza: “All’inizio non la pensavate così”. La risposta è da manuale del contraddetto, nutrimento del blob: “Ti poni tante domande e ti dai tante risposte”. Con un’eco marzulliana – si faccia una domanda e si dia una risposta – che sale dal fondo di cartapesta.
Eppure, in una precedente puntata della fiction di Santa Croce – secondo le cronache – la stessa Antonella aveva espresso una diversa sensibilità: “Della morte di Loris mi ha colpito molto la frase che mia sorella mi ha detto: ‘ora lo portano a casa’, senza dire altro e poi ha anche accusato nostra madre di averlo preso lei il bambino. In un momento così difficile Veronica pensava a mandare via me e nostra madre e non al dramma che tutti in quel momento stavamo vivendo”.
Parole di miele ora per la sorella in carcere “tanto dimagrita”, parole di fiele allora, a ragione o torto, perché non è tanto il merito del detto a interessare, ma piuttosto la vocazione al contraddetto che regge lo spettacolo, capovolgendo frasi e intercettazioni. Come il ribaltone di Carmen Anguzza, che di Veronica è mamma e di Loris nonna. Da “la famiglia Panarello non vuole dare nessuna mano alla signora Panarello. Assolutamente. Che mano può dare? Veronica con la famiglia Stival è stata sempre, da nove anni a questa parte. Si è fatta vedere ogni tanto. È una persona molto difficile. Non c’era niente da chiarire tra di noi”, alle profusioni di intimità e di affetto, al “ti prego perdonami”, nel confessionale di Barbara D’Urso, con l’epica dell’auricolare e il pathos dei capelli freschi di parrucchiere.
Non è dunque la possibilità del cambiamento di idee o di sentimenti a colpire, ma il sospetto della contraffazione che si manifesta nel rovescio perfetto, dalla vita allo studio televisivo. Ciò che era in un modo si trasforma nel suo opposto, con parenti e amici dello “sfortunato bambino” e della “mamma assassina” ridotti al ruolo di cavallucci dallo sguardo fisso.
E’ la giostra che gira nel senso inverso dell’amore e illumina, a intermittenza, le ombre di questo interno di famiglia con delitto. Senza pietà per una madre accusata di avere assassinato il figlio. Senza rimpianto per Loris, l’eterno bambino, l’unico rimasto umano, con tutto il suo inumano martirio.