PALERMO – L’incognita è un numero: 46. Che sulla ruota di Palermo è il numero della palude. Servono 46 deputati pronti a sfiduciare il governo per chiudere la legislatura. Ad altre strade nessuno crede più. Il commissariamento è ritenuto poco più di uno spauracchio, così come la mancata approvazione di bilancio e finanziaria. “Quest’Ars alla fine un bilancio e una finanziaria, una qualunque, li voteranno eccome”, profetizza un peso massimo della maggioranza. L’istinto di conservazione (della poltrona) dei dpeutati è oggi più forte che mai, visto che la prossima sarà la legislatura in cui gli scranni scenderanno da 90 a 70 e la rielezione sarà ancora più complicata. Su questo punta Rosario Crocetta. Ed è questa la via strettissima che i suoi avversari interni nel Pd dovranno seguire se davvero vorranno scalzare da Palazzo d’Orleans il governatore.
“Se ci fosse la certezza dei 46 si andrebbe fino in fondo, ma la certezza non c’è”, riassumeva ieri un esponente dell’area più vicina a Matteo Renzi, confermando sostanzialmente le voci che da tempo circolano e che anche qualche organo di stampa ha riportato. Ossia i propositi dei renziani di staccare davvero la spina, una volta portato a casa il bilancio e salvata la Sicilia dalla bancarotta. La road map della complicata operazione prevederebbe prima il ritiro della delegazione democratica dalla giunta, per cominciare a smarcarsi, e poi il colpo di grazia al governo, per andare a votare in autunno. Facile a dirsi, molto meno a farsi. Tanto che, malgrado i chiari segnali d’agonia della legislatura, pochi sembrano crederci davvero.
Tra il dire e il fare anzitutto c’è di mezzo il Pd. Che i democratici in blocco arrivino a rompere definitivamente col governo è tutto da vedere. Servirebbe prima un’idea chiara sul dopo, che ancora manca. L’ipotesi ancora tutta da verificare potrebbe essere quella di un’alleanza con i centristi di Udc (la mano tesa di Raciti a Firetto dopo il pasticcio di Agrigento è certo un segnale politico) e Ncd sulla falsariga della maggioranza di Renzi, ma per ora si tratta solo di idee o poco più. Ieri il segretario Fausto Raciti è intervenuto per dire che “non c’è nessun complotto contro Crocetta” e che “porsi degli interrogativi non significa far venir meno la lealtà al governo”. E nella sofferta riunione di gruppo dell’altroieri, tra le tante contumelie non sono mancate le difese d’ufficio del governo, tra le quali quella dell’Areadem di Lupo e Barbagallo.
Crocetta dal canto suo non ha nessuna intenzione di mollare. Ci vuole il bazooka per mandarmi a casa, ha detto l’altroieri il governatore. E nel Pd, anche i più stanchi dei disastri del governo, temono che di fronte a uno strappo del suo partito, il governatore potrebbe tentare, e magari riuscire, in un’operazione alla Lombardo, cercando maggioranze autonomiste e sicilianiste raccattando deputati qua e là. Ieri a La Sicilia il governatore ha rilanciato l’idea di un “patto per le riforme” che coinvolga le opposizioni. Una formula che potrebbe rappresentare l’antipasto di qualcos’altro, se i rapporti tra Palazzo d’Orleans e il Pd precipitassero. Ecco perché il governatore manifesta una certa spavalderia, scommettendo proprio sull’istinto di conservazione dei deputati. E riservando ormai continue bordate a quello che vede come il suo rivale, il leader dei renziani Davide Faraone, uno dei possibili candidati a Palazzo d’Orleans – l’altro nome che circola è Caterina Chinnici – per un eventuale dopo-Crocetta.
La fragilità della maggioranza si è resa ancora una volta evidente con il capitombolo del ddl sulle Province. Ma il caos sembra destinato ad autoconservarsi. E se Roma come pare darà la mano che serve per chiudere il difficile bilancio, i rivali interni di Crocetta e del suo cerchio magico vedranno spuntata l’unica arma di cui in effetti dispongono per chiudere la legislatura. A quel punto per un altro anno il governo sarà al riparo. Crocetta, più abile nei tatticismi di quanto si pensi, lo sa bene. E sa anche che non tutti gli inciampi vengono per nuocere. Il ko sulle Province, per esempio, malgrado il colpo all’immagine (già abbastanza compromessa) ha portato con sé anche buone notizie per Palazzo d’Orleans, che continuerà per altri mesi a gestire strapuntini di potere attraverso i commissariamenti ormai infiniti degli enti d’area vasta. A riprova di come la palude nella quale la Sicilia è impantanata rappresenta in qualche modo la garanzia del potere per l’inquilino di Palazzo d’Orleans e per i suoi.