PALERMO – Il boss Totò Riina scende in campo a difesa del cognato, Leoluca Bagarella, accusato da un pentito di avere collaborato con gli investigatori per farlo arrestare. “Mio cognato è un galantuomo – dice intervenendo con dichiarazioni spontanee al processo sulla trattativa Stato-mafia in cui entrambi sono imputati – Non capisco perché questo pentito mi ha buttato questa pietra addosso”. Il collaboratore di giustizia, che alla scorsa udienza aveva accusato Bagarella di avere fatto arrestare Riina e lo stesso fratello Calogero Bagarella, è Gaetano Grado.
Ma la appassionata difesa del capomafia corleonese incappa in un equivoco. Riina scagiona il cognato da responsabilità nell’arresto del gennaio 1993, quello che ha interrotto la sua decennale latitanza, mentre Grado si riferiva alla prima carcerazione del boss, nel 1963. Equivoco che, poi, prova a chiarire lo stesso Bagarella, pure lui intervenuto con dichiarazioni spontanee. “Io sono stato arrestato nel 64 – ha detto – mentre mio cognato nel 63, quindi Grado dice il falso. Pensi a quanta gente ha mandato in cella lui che, insieme a Contorno, fece finire in manette 162 persone”. Bagarella ha poi sostenuto che il fratello Calogero è latitante nonostante decine di pentiti raccontano sia morto nella sparatoria durante la strage di viale Lazio. “Quindi suo fratello è vivo?”, gli ha chiesto a quel punto Alfredo Montalto, presidente della Corte d’assise che celebra il processo. “Mio fratello è latitante”, ha risposto. Il corpo di Calogero Bagarella venne portato via dai suoi complici e non è mai stato ritrovato.