PALERMO. È molto più di un’intimidazione. Secondo gli investigatori, si tratta di una pesantissima ritorsione contro un imprenditore riottoso a pagare il pizzo. Segno evidente che, nonostante i blitz, qualcuno in città vuole imporre le regole di Cosa nostra. Attorno all’uomo si è stretto il cordone di protezione dello Stato. Se n’è discusso nel corso di alcuni vertici in Procura.
Nei giorni scorsi qualcuno ha cosparso di liquido infiammabile un furgone parcheggiato all’interno di un distributore di benzina in via Empedocle Restivo. Il mezzo appartiene al titolare di una nota pescheria. Bisogna fare due passi indietro per cogliere la gravità della situazione. Primo step: un paio di mesi fa qualcuno, di notte, ha fatto fuoco con una pistola contro la saracinesca dell’attività commerciale. Secondo step: il pescivendolo non è uno dei tanti commercianti vessati dal racket. Ha una sua storia che era emersa nei giorni del blitz Apocalisse che all’inizio dell’estate del 2014 azzerò i clan mafiosi da San Lorenzo a Vergine Maria, passando per l’Arenella. Nel rione Arenella, appunto, abitava Gregorio Palazzotto, oggi al 41 bis con l’accusa di essere uno dei capi della mafia emergente palermitana.
A Palazzotto, al fratello Domenico e a Carlo Ventimiglia i pm contestano proprio la tentata estorsione ai danni del pescivendolo, il cui nome saltò fuori dalle carte del blitz. “… pero’ questo… questo della pescheria non è che però si può chiudere così…”, dicevano i mafiosi intercettati, commentando il rifiuto del commerciante a piegarsi al racket: “… ormai tutti cominciano a fare tipo: ‘No io di qua… non ce la faccio… così…colì… non posso campare…”. Il commerciante, per non pagare, si era giocato la carta del legame con il padre dei Palazzotto, Natale. Gregorio Palazzotto, però, non voleva sentire ragione. Anche perché “trecento euro”, a tanto ammontava la richiesta estorsiva, era una cifra bassa rispetto al tenore di vita del pescivendolo: “… minchia macchina che ha… tutti bene stanno i cristiani…”. Da lì in poi la chiusura del commerciante è stata netta, fino alla decisione di costituirsi parte civile nel processo.
Fin qui ciò il blitz Apocalisse. Il resto è storia recente. Prima i colpi di pistola, poi l’incendio del furgone. In mezzo ci sono vicende che ancora non conosciamo. Compresa la voglia del commerciante di non piegarsi al giogo mafioso che ha fatto scattare la ritorsione e la necessità di proteggerlo. Da chi? Questo è il cuore delle indagini. I colpi di pistola e l’incendio del furgone confermano che qualcuno sta cercando di serrare i ranghi in una fetta di città dove i clan hanno preso batoste. Lo dimostrano altri episodi registrati negli ultimi mesi da carabinieri e poliziotti. I picciotti del racket si muovono parecchio. Bloccano le serrature dei negozi con l’attak, danno fuoco alle saracinesche, chiudono in cancelli dei cantieri con le catene. E se serve alzano il tiro, sparando pistolettate contro le porte d’ingresso delle attività commerciali. Tutto questo è accaduto e accade in questi giorni.