Può il figlio di Totò Riina andare in tv, a ‘Porta a Porta’, per presentare un libro in cui narra della vita domestica con suo padre, il mostro? Può andarci, dopo avere dichiarato al ‘Corriere della Sera’: “Io non sono il magistrato di mio padre; non è competenza mia dire se è stato il capo della mafia oppure no. Lo stabiliscono le sentenze, io ho voluto parlare d’altro: la vita di una famiglia che è stata felice fino al giorno del suo arresto, raccontata come nessuno l’ha mai vista e conosciuta”. E i parenti delle vittime di mafia, quelli che un papà non l’hanno più, cosa dovrebbero dire davanti a una così palese dissociazione dei fatti? E’ un problema di confini, tra informazione ed etica.
Maria Falcone, sorella di Giovanni, è intervenuta con parole decise: “E’ indegna questa presenza in una emittente che dovrebbe fare servizio pubblico”. Rosy Bindi, presidente della commissione Antimafia, ha rincarato la dose: “Mi auguro che in Rai ci sia un ripensamento. Ma se questa sera andrà in onda l’intervista al figlio di Totò Riina, avremo la conferma che ‘Porta a Porta’ si presta ad essere il salotto del negazionismo della mafia”. Il dibattito si accende su facebook.
Scrive Pippo Russo, commentatore di LiveSicilia: “Il figlio di Totò Riina, anche lui condannato per mafia, scrive un libro sulla vita della sua famiglia. E seppure questo libro non contenga ciò che sarebbe una notizia, la condanna senza appello della mafia e degli innumerevoli orrori commessi e ordinati dal padre, trova ampio spazio sulla stampa e nei salotti televisivi. Indignazione? Rabbia? Certo. Io preferisco dare voce, invece, al primo sentimento che ho avvertito dentro di me: una grande vergogna e il bisogno di chiedere scusa ai nostri eroi, magistrati, poliziotti, sacerdoti, imprenditori, giornalisti, funzionari, professionisti, sindacalisti, politici, gente comune, uccisi da Cosa Nostra”.
Felice Cavallaro, giornalista del ‘Corriere’, che ha partecipato alla puntata registrata ieri e in onda stasera, distilla il suo giudizio con lo stile nitido di sempre: “Il figlio di Riina pare quasi un marziano caduto in un paese sconosciuto. Non ci interessa il racconto della iena che coccolava i suoi cuccioli. Vogliamo sapere cose diverse. Altrimenti, meglio il silenzio”.
Una questione di confini, che trascina con sé una domanda necessaria che rivolgiamo ai nostri lettori: è giusto, lecito e accettabile che il figlio di un terribile assassino vada in tv a parlare di suo padre, il mostro, come se niente fosse mai accaduto?