Fabrizio, "la sua" Catania e quel messaggio forte sulla disabilità

Fabrizio, “la sua” Catania e quel messaggio forte sulla disabilità

Il popolare attore cult per il suo "Bruno Sacchi" ne "I ragazzi della terza C" oggi vive in Sicilia. Per una precisa scelta di vita che è anche una testimonianza dirompente sull'autismo.
LA DOMENICA DI LIVESICILIA
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CATANIA – A poche ore dal suo compleanno, abbiamo raggiunto il noto ed apprezzato attore Fabrizio Bracconeri, mitico interprete del meraviglioso e mai dimenticato ruolo di Bruno Sacchi nel telefilm cult anni ‘80  “I ragazzi della 3ª C”, da anni trasferitosi in Sicilia per motivi familiari, ed è stata una bella occasione per parlare non solo di lui e della sua carriera, ma anche del suo acuto sguardo sul mondo, dei suoi ricordi d’infanzia, intrecciati già allora anche con la nostra bella terra, sulla sua bella famiglia, sul suo rapporto col pubblico, sul dramma delle disabilità che vive quotidianamente da vicino, su come si potrebbe migliorare la condizione dei disabili oggi in Italia e sui suoi sogni, ancora fervidi ed ancora vivi.

Nasci a Roma il 26 giugno del 1964, ma tra i tuoi primi ricordi ci sono i viaggi in macchina con la famiglia per venire a trovare in Sicilia i tuoi parenti. Che immagini ti sono rimaste di quegli anni? Quali sono i colori, gli odori, i sapori e le sensazioni che custodisci ancora oggi?

Ricordo il mio primo viaggio con la 127 color sabbia di mio padre, io avevo forse undici anni, mia sorella un anno e mezzo meno di me, e questo viaggio partì da Roma per raggiungere Nicosia, paese dove viveva mia nonna con mio nono. Mi ricordo che l’infanzia passata a Nicosia è stata tra le più belle.
Poi non ci scordiamo che Nicosia ha dato i natali al Mago Forrest, a Marracash…
Diciamo che essere lì da ragazzino e vivere queste cose oggi da grande oggi mi fa sorridere:  un paesino delle Madonie, sperduto nei Nebrodi, lontano dal mare, lontano da tutto, che per raggiungerlo era veramente una fatica mostruosa, perché la strada era tutte curve, immagina…
Oggi vado ancora a trovare i miei amici, Forrest, Nelson, il Mago Bonelli dei Pappagalli, ed i ragazzi con i quali sono cresciuto da giovane, dove ho vissuto il periodo più bello da ragazzino.
L’estate a Nicosia era fantastica

Quando hai visto per la prima volta Catania? Cosa ti ricordi del tuo primo approccio con questa raggiante città contesa tra l’abbraccio del mare e lo sguardo attento del vulcano?

La prima volta che ho scoperto Catania sono rimasto veramente affascinato dalle sue bellezze naturalistiche, in primis l’Etna, che è una delle vere meraviglie del mondo. Una città che non può lasciarti indifferente, compresa la cucina e le sue specialità tipiche. Sul vino non mi posso pronunciare invece, nonostante si dicano grandi cose in tutto il mondo, perché sono completamente astemio…

Sei nato e cresciuto nel quartiere romano di Primavalle, quanto ha inciso secondo te questo nel determinare l’uomo che saresti diventato?

Sono nato a Trastevere, a via della Lungara, una traversa di via della Lungara, che è via San Francesco di Sales, accanto al carcere di Regina Coeli. E poi ho vissuto non a Primavalle, ma diciamo Primavalle, perché era Torrevecchia, Montemario, perché era il quartiere dei duri dei giovani cattivi, diciamo, il quartiere che ti dava un po’ d’importanza, di rispetto. Se dicevi Torrevecchia, Monte Mario, non eri nessuno. Primavalle, San Basilio, Tor Bella Monaca, erano tutta un’altra cosa, l’effetto era diverso.

La vita e la tua passione per le macchine ed i motori ti hanno portato presto a trascorre le tue giornate nell’autofficina di tuo zio. Sognavi già il cinema e lo spettacolo o pensavi che avresti trascorso la  tua vita lì?

Il 1983 è l’hanno del tuo vero esordio come attore, col film “Acqua e sapone” di Carlo Verdone. Ci racconti come l’hai convinto a darti una chance?

Ho iniziato con Carlo Verdone, ma già a 14 anni avevo fatto una piccola cosa, il film “Arrivano i gatti”, con i gatti di Vicolo Miracoli, Jerry Calà, Franco Oppini, Ninni Salerno ed Umberto Smaila. Feci la mia prima cosa, la mia prima apparizione cinematografia. Poi con Verdone è chiaro che quando l’ho conosciuto l’ho massacrato: “Fammio fà un film, fammi fà un film, fammi fà un film…”

Dopo un primo assaggio di popolarità, la fama vera arriverà quattro anni dopo grazie al ruolo del mitico Bruno Sacchi nella serie televisiva cult, quando ancora si chiamavano “telefilm”,  dal titolo “I ragazzi della 3ª C. Ci racconti come hai ottenuto quel ruolo e che sapore ha avuto per te questo successo indiscusso?

I Vanzina mi vollero nel ruolo di Bruno Sacchi perchè io avevo già fatto due film con loro ed uno col papà, Steno, Stefano Vanzina, un grandissimo regista, praticamente l’inventore della commedia all’italiana. Mentre giravamo ero l’unico a sostenere che questo telefilm avrebbe avuto un grandissimo successo. Lo porterò sempre nel cuore chiaramente perché è il primo lavoro che mi ha reso veramente popolare.
Era un periodo incredibile. Non potevo camminare per strada, ci voleva la polizia, entravo in un negozio e si fermavano duemila persone.
Era una cosa veramente allucinante. Anche oggi fortunatamente il mio successo è rimasto invariato. Sono quarant’anni ormai di amore per me del pubblico. Certo, porta dei vantaggi, ma ti garantisco che ci sono anche degli svantaggi. Alcune cose sono dei problemi, altre sono molto molto piacevoli, perché molte persone mi vogliono bene.
C’è pure chi mi odia, ma certo non si può piacere a tutti, giustamente, piacere a tutti non si può, c’è sempre qualcuno a cui non piaci, ma va bene così, perché la maggioranza sta con me ed io sono contento.

Anni fa tu e Monica, tua moglie, avete deciso di trasferirvi a Erice, per migliorare la qualità di vita di Emanuele, l’ultimo dei vostri figli ed affetto da una grave forma di autismo, senza curarti minimamente delle conseguenze professionali che questa scelta avrebbe potuto avere nella tua vita. La Sicilia quindi ed il tuo percorso di vita si sono incrociati nuovamente a distanza di anni. Ci racconti com’è andata esattamente?

Io e Monica abbiamo deciso di trasferirci qui per  Emanuele, ad Erice. Emanuele va a scuola a Valderice,  dove c’è un centro specializzato. Ma la nostra abitazione sta sul territorio comunale di Erice. E’ stata una scelta d’amore di due genitori, non un sacrificio.

La tua esperienza di vita personale ti ha portato negli anni a diventare un vero e proprio portavoce dei diritti dei disabili in generale, causa per la quale non ti sei mai risparmiato, arrivando a dialogare anche con la politica è le istituzioni. Ci fai un report sulla situazione attuale in Italia in tema di disabilità e ci rendi partecipe delle tue riflessioni su come oggi si potrebbe migliorare la vita dei disabili e dei familiari che, spesso in estrema solitudine, li supportano ogni giorno?

La mia esperienza di vita personale mi ha portato negli anni a diventare un portavoce dei diritti dei disabili in generale, perché io penso che lo status familiare di un disabile non deve essere considerato dallo Stato, perché sennò un disabile che nasce una famiglia ricca può avere tutte le cure, un disabile che nasce in una famiglia povera praticamente ha due handicap, il suo più quello della famiglia, e non può essere così. 
Perciò i disabili devono essere tutti aiutati, in maniera diversa perché chiaramente la disabilità non è tutta uguale, ma tutti i disabili devono essere aiutati, senza contare lo status familiare. 
La situazione sulla disabilità in Italia è da secoli la stessa. Sembra che qualcosa si stia facendo, però non posso dirti che ancora ce ne siano le prove.
Comunque prima, quando è stata eletta la Lega anni fa, insieme al Movimento 5 stelle, la Lega ha voluto il Ministero della disabilità, poi il governo giallorosso l’ha levato subito questo ministero, e adesso il governo Meloni l’ha ripristinato, mettendo anche dei fondi importanti.
Speriamo che si riesca a fare qualcosa e che magari non si pensi solo ad “un dopo di noi” alla leggera, mio figlio ad esempio non lo potrebbe mai fare l’attuale “dopo di noi”, perché per essere inserito bisogna avere un minimo di autonomia. Mio figlio questa autonomia non ce l’ha, perché usa il pannolone, non parla, non mangia da solo, non si lava da solo,  perciò diventerebbe un problema.
Mi piacerebbe fare un “dopo di noi” con delle persone che possano assisterlo. 
La mia grande paura, mia e di mia moglie Monica, è purtroppo legata a quale fine farà questo, per noi, ragazzino eterno quando non ci saremo più noi.
Al Governo centrale proporrò il “durante noi”, cioè aiutare le famiglie che vivono la disabilità grave ad avere una vita sociale più consona, perché chiaramente quando non hai una vita sociale ti chiudi in te stesso, ti comincia a venire la depressione, problemi, ed i problemi che nascono ogni giorno diventano sempre più grossi, perché finché il ragazzino è piccolo i problemi sono piccoli, quando è grande i problemi diventando sempre più grandi.
Mio figlio oggi ha ventidue anni, ormai è un uomo, e non tutti sono disposti ad assisterlo, anche se costano l’ira di Dio gli assistenti. Perciò mi piacerebbe che ci fosse un ”durante  noi” che ci possa permettere, a noi con familiari affetti da disabilità importanti, di vivere magari un weekend, una settimana, in tranquillità, madre e padre, moglie e marito, compagna e compagno, come si dice adesso, o genitori comunque del disabile in generale, felici, da soli, perché andare a mangiare una pizza, o fare la spesa, è già un problema, figurati fare una vacanza.
Noi in ventidue anni l’unica cosa che abbiamo fatto con Emanuele è la crociera durante quale abbiamo girato il film “Ti racconto tuo padre”, grazie a te che hai curato la regia e grazie anche a me che ho recitato e proposto l’idea, poi sposata subito da te per ampliare il discorso, e questo film ha girato il mondo, parlando di disabilità, facendo riflettere gli spettatori e ricevendo ad oggi ventuno riconoscimenti (forse oggi arriverà il ventiduesimo, speriamo…), ma ha vinto premi in tutto il mondo.
Questo vuol dire che nel mondo, quando si sente parlare di disabilità, c’è qualcosa che colpisce, è una cosa che la gente capisce.
Forse qui in Italia ancora si vive e si ragiona ancora in maniera diversa. Il disabile lo guardano, lo additano, non lo invitano alle feste…Ci sarebbe da fare un lavoro dalle scuole proprio primarie, dall’asilo, ai bambini, per fargli capire che il disabile non è ”un diverso”, ma è uno come loro e che anzi aiutarlo li arricchirebbe sia nel bagaglio culturale che nell’imparare a rispettare le persone in generale in quella che sarà poi la loro vita futura.

Domani sarà il tuo compleanno. Ti va di rivelarci quale desiderio esprimerai mentre spegnerai le tue candeline?

Manca poco ai sessanta, comincio ad avere più percorso fatto che quello che  mi resta purtroppo.
Come tutti purtroppo mi dovrò congedare, spero il più in là possibile, voglio stare su questa bella faccia della terra. Ogni mattina mi sveglio col pensiero di mio figlio e i piacerebbe, come regalo, potergli sentire dire “mamma” o “papà”.


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