È vero, lo scrive Salvo Toscano su Livesicilia (“La guerriglia delle correnti. Tutte le pene che dilaniano il PD”), gli scontri perenni dentro il Partito Democratico siciliano non sono una novità. Piuttosto, sembrano essere l’unica realtà visibile di un partito, nelle intenzioni tradite erede delle culture rappresentate da Piersanti Mattarella e Pio La Torre, lasciato nelle mani dei padroni delle tessere, ognuno a capo di fazioni e sub-fazioni.
L’aspetto maggiormente inquietante è il fatto che le correnti organizzate, insieme ai nuovi aggregati nati dalle recenti operazioni di riciclaggio, sotto la regia di Davide Faraone, di scalpitante personale politico prima militante nei ranghi cuffariani, lombardiani e berlusconiani, siglano disinvoltamente tregue armate dinanzi alla fede comune nel dio potere e, al contempo, non disdegnano tentavi di accordi all’esterno ritenuti impensabili, come quello recentemente messo in campo da Antonello Cracolici nei confronti di Leoluca
Orlando, respinto cortesemente al mittente dal sindaco di Palermo, verosimilmente in funzione della guerra aperta con gli avversari interni.
Discorso a parte merita Giuseppe Lupo, riferimento dell’area cattolica del partito, renziano ma distinto da Faraone, che privilegiando la discrezione e la mediazione ad oltranza di democristiana memoria alla fine probabilmente è il più forte e il più radicato nel territorio regionale. E qui il campo di osservazione si allarga all’intero quadro politico isolano e alla lunga e penosa telenovela delle quattro giunte di Rosario Crocetta con avvicendamenti di assessori, capi di gabinetto, segretarie e direttori a “tignitè”.
Il governatore, nominalmente dirigente del PD, è stato pesantemente bastonato in questi anni di legislatura, che all’Ars scorre stancamente all’insegna di una disarmante mediocrità e improduttività, ora dai faraoniani ora dai cracoliciani o da entrambi i fronti, per non parlare degli interventi urlati in aula, sul palcoscenico di finte mozioni di sfiducia per lo scontato risultato, di esponenti di tutte le forze politiche degni della migliore sceneggiata napoletana.
Sommamente più redditizio, evidentemente, non scollarsi dalle poltrone portatrici di ricche indennità e rendite di posizione. In verità, esaurite le sceneggiate e le “sciarre” a suon di comunicati e dichiarazioni al vetriolo, sono tutti impudicamente seduti nelle stanze dei bottoni senza che si riesca a comprendere quale sia la maggioranza, estremamente cangiante a seconda delle convenienze di parte o addirittura di singoli deputati, e chi governi realmente, se Palazzo d’Orleans o Palazzo Chigi. Incuranti della raffica di
commissariamenti romani in delicatissime materie, non ultima quella incombente sui rifiuti, e delle impugnative avanzate o minacciate dal governo nazionale innanzi alla Consulta, a riprova del gioco al massacro attuato da una classe politica complessivamente irresponsabile, oltre che scadente, per il perseguimento di scopi che nulla hanno a che spartire con gli interessi collettivi.
L’esempio più eclatante, e qui ritornano le ambiguità correntizie del PD mostratosi colpevolmente incapace di una tensione unitaria al riguardo, è stato l’incaponirsi a non recepire immediatamente nella riforma delle ex Province la norma nazionale che individua automaticamente il sindaco metropolitano nella figura del sindaco del capoluogo, come pure mia nonna avrebbe ritenuto normale fin da subito. Logiche di bassa cucina, diffidenze, contrapposizioni, vendette trasversali, hanno indotto il governo regionale e
ampi settori dell’Assemblea regionale siciliana a scegliere dolosamente strampalati percorsi alternativi, con la successiva retromarcia imposta da Roma pena il ricorso alla Corte Costituzionale, usando lo scudo di un’autonomia ormai ridotta a una carnascialesca caricatura, invocata a sproposito anche dal Movimento 5stelle che non ha partecipato al voto, che hanno solo fatto sprecare tempo prezioso – tre anni! – incancrenito i problemi e minato ulteriormente la credibilità delle nostre istituzioni al cospetto dell’Italia e dell’Europa.
Cosa c’entra, vorrei chiedere ai grillini, il recepimento di una norma di buon senso con la difesa dell’autonomia? Purtroppo, al di là dell’approvazione finalmente raggiunta della riforma sulle ex Province, l’agonia non s’è conclusa e occorre attendere, con gli immaginabili guasti aggiuntivi a quelli finora provocati in una Sicilia allo stremo, la scadenza naturale di ottobre 2017 con una campagna elettorale già iniziata secondo le peggiori tradizioni. Nessun segnale all’orizzonte di resipiscenza, anzi, i fatti sono nella direzione di una deprimente continuità delle nefaste e inconcludenti pratiche a cui i
protagonisti della politica siciliana ci hanno abituato.

