AGRIGENTO – “Me li hanno ammazzati, se qualcuno ha sbagliato deve pagare”, ripete in lacrime Giovanna Lucchese, la madre delle piccole vittime di 9 e 7 anni. Entra nel vivo il processo per l’esplosione dei vulcanelli delle Maccalube che nel 2014 provocò la morte di Carmelo e Laura Mulone, due bambini che si trovavano nella riserva di Aragona, nell’Agrigentino, accompagnati dal padre, Rosario.
Nell’aula 6 del Tribunale di Agrigento, davanti al giudice Gianfranco Caruso, sono stati sentiti i primi testi. A raccontare quel tragico 27 settembre 2014 è il padre dei due fratellini Mulone, il carabiniere Rosario, che rivive quei terribili momenti, dalla gita nella riserva fino all’onda di fango che travolse i due piccoli. Accompagnato dalla moglie e dagli avvocati napoletani Guida e Floccher, Mulone spiega che nessuno quel giorno aveva avvertito del pericolo: “Non c’era nessun segnale – risponde – io non sapevo che in precedenza c’erano stati ribaltamenti, altrimenti non sarei mai andato”.
Quel giorno non era l’unico dentro quella riserva: vivi per miracolo e presenti a testimoniare in aula ci sono Antonio Paolo Della Punta e la moglie, Silvia Perin, due turisti milanesi appassionati di fotografia e di lingue: “Sapevo che la terra si ribaltasse perché, essendo un linguista, mi aveva incuriosito l’etimologia della parola Maccalube – spiega il turista che per primo soccorse il padre – quel giorno trovammo due signori dentro la riserva (uno di questi è l’imputato Daniele Gucciardo, operatore della riserva, presente in aula ndr) che parlavano di come alcune tracce di ruote di bicicletta dentro la riserva, ma poi non l’ho più visto”. Anche Della Punta ammette di non aver visto alcun segnale di pericolo che potesse informarlo: “Nessuno ci ha avvertito – prosegue – ho capito solo in seguito che il signore che avevo visto era di Legambiente, non aveva nessun cartellino”.
A confermare di non aver visto segnali di pericolo è la moglie, Silvia Perin, che in aula mostra i video che fece quel giorno prima dell’esplosione. Risponde così alla difesa (avvocati Ciancimino e Petrucci) che punta sulla non prevedibilità dell’evento e sul fatto che cartelli e depliant mettevano al corrente dei pericoli.
In aula c’è anche la madre dei fratellini Mulone, Giovanna Lucchese, in lacrime vedendo le immagini, che si sfoga al termine dell’udienza: “Me li hanno ammazzati – ripete più volte – se qualcuno ha sbagliato deve pagare. Io l’ho promesso ai miei figli. Voglio che giustizia venga fatta, a me non resta nulla adesso”.
Poi, tocca ad un giovane laureato in Architettura di Aragona salire sul banco dei testimoni. Fu uno dei primi ad arrivare sul luogo subito dopo l’esplosione: “Nel mese di agosto – spiega Salvatore Vullo che stava studiando il luogo per la sua tesi – il luogo era stato interdetto con un cartello, ma l’accesso pedonale era rimasto libero, nelle settimane successive il cartello non c’era più”. Anche il quarto testimone, Salvatore Frazzetto, siciliano, ammette di non aver visto cartelli di pericolo. Tutti e quattro comunque concordano sui problemi che ha avuto l’ambulanza ad entrare nel luogo poiché non si trovava qualcuno che avesse le chiavi del lucchetto per sollevare la barra all’ingresso. Il processo, per il quale sono imputati Daniele Gucciardo, Francesco Gendusa e l’ex presidente regionale di Legambiente Mimmo Fontana, riprenderà il 21 novembre quando verranno ascoltati altri quattro testi.